Come comportarsi in caso di ondate di calore

Sentiamo sempre più spesso parlare di “ondate di calore”. Ma che cosa è esattamente un’ondata di calore? Esiste una definizione valida a livello globale? Queste domande non sono di così facile risposta.
Ci sono due tipi di approccio per definire un’ondata di calore, uno di tipo epidemiologico, l’altro climatologico.
L’approccio epidemiologico, che ha radici più lontane nel tempo, si basa sugli effetti che temperature elevate (o percepite tali) hanno avuto in un certo luogo sulla salute umana.
Vengono quindi individuate delle soglie assolute di temperatura o temperatura percepita (effetto combinato di temperatura, umidità, vento) oltre le quali è stato registrato in precedenza un aumento dei casi di mortalità e/o morbilità. In questo caso, l’accezione di ondata di calore varia da paese a paese e non esiste quindi una definizione comune in quanto i climi sono diversi così come l’adattamento delle persone che vivono in particolari climi (il caldo, ad esempio, causa meno problemi per la salute nei paesi più caldi rispetto a quelli con un clima più fresco).
Il secondo approccio, quello climatologico, è nato più recentemente, anche in seguito all’esigenza di uniformare a livello globale il concetto di “evento estremo” – tra cui anche quello di ondata di calore – per poter confrontare i risultati emersi negli studi climatici relativi agli eventi meteorologici estremi nei diversi paesi.
Il caldo causa problemi alla salute nel momento in cui altera il sistema di regolazione della temperatura corporea. Normalmente il corpo si raffredda sudando, ma in certe condizioni ambientali questo meccanismo non è sufficiente. Se, ad esempio, il tasso di umidità è molto alto, il sudore evapora lentamente e quindi il corpo non si raffredda in maniera efficiente e la temperatura corporea può aumentare fino a valori così elevati da danneggiare organi vitali. La capacità di termoregolazione di una persona è condizionata da fattori come l’età, le condizioni di salute, l’assunzione di farmaci. I soggetti a rischio sono: le persone anziane o non autosufficienti, le persone che assumono regolarmente farmaci, i neonati e i bambini piccoli, chi fa esercizio fisico o svolge un lavoro intenso all’aria aperta.
La disidratazione è una condizione che si manifesta quando la quantità di acqua persa dall’organismo è maggiore di quella assunta. Normalmente si devono assumere tra 1,5 e 2 litri di acqua al giorno.
L’organismo si disidrata e incomincia a funzionare male quando:

  • è richiesta una quantità di acqua maggiore come in caso di alte temperature ambientali per via della sudorazione
  • si perdono molti liquidi, come in caso di febbre, vomito e diarrea
  • una persona non assume volontariamente acqua a sufficienza in mancanza di stimolo della sete, come nel caso di bambini piccoli ed anziani.
  • in caso di assunzione di farmaci che possono favorire l’eliminazione di liquidi (per esempio diuretici, lassativi).

Per questo, durante i giorni in cui è previsto un rischio elevato di ondate di calore e per le successive 24 o 36 ore vi consigliamo di seguire queste semplici norme di comportamento:

  • non uscire nelle ore più calde, dalle 12 alle 18, soprattutto ad anziani, bambini molto piccoli, persone non autosufficienti o convalescenti;
  • in casa, proteggervi dal calore del sole con tende o persiane e mantenere il climatizzatore a 25-27 gradi. Se usate un ventilatore non indirizzatelo direttamente sul corpo;
  • bere e mangiare molta frutta ed evitare bevande alcoliche e caffeina. In generale, consumare pasti leggeri.
  • indossare abiti e cappelli leggeri e di colore chiaro all’aperto evitando le fibre sintetiche. Se è con voi una persona in casa malata, fate attenzione che non sia troppo coperta.

È necessario intervenire tempestivamente perché i danni possono essere molto gravi e causare la morte.

11 luglio, Giornata internazionale della popolazione

Nel 1989 il Consiglio direttivo del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite ha scelto l’11 luglio per celebrare la giornata internazionale della popolazione. Il tema della giornata di quest’anno è Pianificazione familiare: dare potere alle persone per lo sviluppo dei paesi. Una pianificazione familiare sicura e voluta non è solamente un diritto di ogni essere umano ma è altresì alla base dell’uguaglianza di genere e dell’emancipazione femminile, e un fattore chiave nella lotta alla povertà. Nel mondo ci sono ancora circa 225 milioni di donne che non desiderano la gravidanza e che non usano metodi di pianificazione familiare efficaci e sicuri. Questo per ragioni diverse che spaziano dall’impossibilità di accedere a informazioni e servizi, al mancato sostegno dei loro compagni e delle loro comunità. Molte delle donne che non possono usare contraccettivi vivono nei 69 paesi più poveri. Se la domanda di contraccettivi fosse soddisfatta, ci sarebbero 70.000 morti di parto, 24 milioni di aborti e 500.000 morti infantili in meno all’anno. Gli investimenti nella programmazione familiare hanno ripercussioni positive a livello economico e consentono lo sviluppo. Per questa ragione è fondamentale che progetti politici contro la povertà, la difesa dei diritti e della dignità della persona, non possono prescindere da un elemento chiave dello sviluppo sostenibile: la pianificazione familiare volontaria. La Giornata internazionale della popolazione di quest’anno coinciderà con il Summit sulla pianificazione familiare, il secondo incontro dell’iniziativa FP2020 – Family Planning 2020 – che mira ad estendere entro il 2020 l’accesso alla pianificazione volontaria a 120 milioni di donne. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres ha dichiarato: “Quarant’anni fa, i leader del mondo riconoscevano il diritto fondamentale di ogni individuo a determinare liberamente e responsabilmente quanti figli avere e quando. Il quinto degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, migliorare la salute materna, afferma tale diritto anche se ad oggi i progressi per il raggiungimento di questo obiettivo sono stati scarsi. In occasione della Giornata internazionale della popolazione, è cruciale soffermarsi sull’importanza della pianificazione familiare per realizzare con successo gli obiettivi.” La pianificazione familiare salva vite: permette alle coppie di decidere se e quando avere figli, preserva la salute di donne e bambini, dà loro la possibilità di portare avanti gli studi e di lavorare e aumenta le loro capacità di risparmiare, contribuire all’economia e investire nella salute e nell’educazione dei loro figli. In poche parole, contribuisce al benessere delle comunità e a rafforzarne l’economia. Si stima che nel 2017, nei paesi in via di sviluppo 308.000 donne moriranno a causa di complicazioni dovute alla gravidanza e che 2,7 milioni di bambini moriranno nel primo mese di vita. Il Segretario Generale António Guterres ribadisce che un’azione comune per sostenere i diritti delle donne e delle ragazze sia il migliore investimento che la società possa fare oggi.

Campi Flegrei

L’attività vulcanica interessa da sempre ogni angolo del nostro pianeta. Le eruzioni avvengono sul fondo degli oceani e in cima a imponenti catene montuose, sotto ai ghiacci polari e in mezzo ai deserti, come pure in zone densamente popolate, come l’Italia. I prodotti delle eruzioni vulcaniche modificano il paesaggio, creano e distruggono territorio, introducono gas e particelle sia nell’atmosfera che negli oceani, e influenzano in questo modo l’andamento della vita sulla Terra.
I Campi Flegrei sono un’area vulcanica attiva situata ad ovest di Napoli, che include i comuni di Bacoli, Monte di Procida, Pozzuoli, Quarto, Giugliano in Campania e parte della città di Napoli. Il nome Campi Flegrei, dal greco letteramente “campi ardenti”, denota la natura vulcanica dell’area e la presenza di numerose fumarole e acque termali, ben note e sfruttate nell’antichità.
A differenza del più noto Vesuvio, i Campi Flegrei non sono caratterizzati da un unico edificio vulcanico principale, ma sono piuttosto un campo vulcanico attivo da più di 80.000 anni, con diversi centri vulcanici situati all’interno e in prossimità di un’area depressa chiamata caldera. La caldera è il risultato del ripetuto sprofondamento di una vasta area provocato dal collasso del tetto del serbatoio magmatico superficiale a seguito dello svuotamento dello stesso per opera di almeno due grandi eruzioni: l’Ignimbrite Campana (40.000 anni) e il Tufo Giallo Napoletano (15.000 anni). L’eruzione dell’Ignimbrite Campana è l’eruzione a più elevata energia conosciuta nel Mediterraneo: con essa un’enorme quantità di cenere è stata dispersa nell’atmosfera, influenzando il clima non solo a livello regionale ma probabilemte anche a livello mondiale. Dopo l’eruzione del Tufo Giallo Napoletano l’attività vulcanica dei campi Flegrei è stata particolarmente intensa con più di 27 eruzioni solo negli ultimi 5.500 anni, l’ultima delle quali, avvenuta nel 1538, ha generato il cono di tufo di Monte Nuovo.
La caldera dei Campi Flegrei è soggetta a lenta deformazione del suolo nota con il nome locale di bradisismo. Nei periodi 1970-72 e 1982-84 l’area flegrea è stata interessata da crisi bradisismiche in cui il suolo, nell’abitato di Pozzuoli in particolare, ha subito un sollevamento totale massimo di circa 3.5 m. La prima crisi causò l’abbandono forzato dell’area fatiscente di Rione Terra; la seconda crisi in particolare fu caratterizzata da intensa sismicità con gravi danni agli edifici. Dopo le crisi si è avuto un periodo di generale subsidenza, interrotta a partire dal 2005 da un’inversione del fenomeno che ha portato ad un costante sollevamento del suolo, al momento ancora in atto. Allo stato attuale il livello di allerta dei Campi Flegrei è GIALLO, come stabilito dal Dipartimento della Protezione Civile, sulla base dei risultati del monitoraggio e delle valutazioni espresse dalla Commissione Grandi Rischi. Tale livello, a differenza del livello di allerta “verde”, che corrisponde all’attività ordinaria del vulcano, è indice della variazione di alcuni dei parametri monitorati dall’INGV.

Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA)

L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) è ente pubblico di ricerca, dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, autonomia tecnica, scientifica, organizzativa, finanziaria, gestionale, amministrativa, patrimoniale e contabile.
L’ISPRA è sottoposto alla vigilanza del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica (MASE). Il Ministro si avvale dell’Istituto nell’esercizio delle proprie attribuzioni, impartendo le direttive generali per il perseguimento dei compiti istituzionali.
Fermo restando lo svolgimento dei compiti, servizi e attività assegnati all’Istituto ai sensi della legislazione vigente, nell’ambito delle predette direttive sono altresì indicate le priorità relative agli ulteriori compiti, al fine del prioritario svolgimento delle funzioni di supporto al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (MASE). L’istituto si occupa di protezione ambientale, anche marina, delle emergenze ambientali e di ricerca. L’ISPRA è inoltre l’ente di indirizzo e di coordinamento delle agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (ARPA) e coopera con l’Agenzia europea dell’ambiente e con le istituzioni ed organizzazioni nazionali ed internazionali operanti in materia di salvaguardia ambientale. Con l’entrata in vigore, nel 2017, del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, è stata creata una rete che fonde insieme l’istituto, le diciannove agenzie regionali (ARPA) e quelle delle due province autonome (APPA), di cui l’ISPRA ha il coordinamento. Pertanto, l’ISPRA svolge funzioni tecniche e scientifiche, sia a supporto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare sia in via diretta, tramite attività di monitoraggio, di valutazione, di controllo, di ispezione e di gestione dell’informazione ambientale.
Dal 2022 l’istituto fa collabora con il progetto del Primo parco mondiale dello stile di vita mediterraneo.
Nell’esercizio delle descritte funzioni l’ISPRA è sottoposto alla vigilanza del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica che si esplica, secondo quanto previsto dagli articoli 12 e 14 del D.M. n. 123 del 2010, in tali ambiti:

  • approvazione preventiva da parte del Ministero vigilante, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, delle deliberazioni concernenti la pianta organica e il regolamento di amministrazione e contabilità,
  • approvazione dei principali documenti contabili, quali il bilancio di previsione e il rendiconto generale;
  • fissazione degli obiettivi per ciascun esercizio attraverso una Convenzione triennale, in cui sono individuati i servizi ordinari e le attività ulteriori che ISPRA si impegna a svolgere;
  • obbligo di invio dal Presidente dell’Istituto di una relazione annuale sui risultati dell’attività;
  • approvazione dello Statuto dell’Istituto, che deve assicurare la separazione dell’attività di ricerca e di consulenza tecnico-scientifica da quella amministrativa.

Sulle modalità di esercizio dell’attività di vigilanza è intervenuto, da ultimo, il D. Lgs. n. 218 del 2016 che fissa, all’articolo 4, le modalità dei controlli di legittimità e merito su statuto e regolamenti adottati dagli enti pubblici di ricerca (EPR) da parte dei Ministeri vigilanti e prevede, all’articolo 7, l’adozione del Piano Triennale di Attività, aggiornato ogni anno, sottoposto all’approvazione del Ministro vigilante. “Il Ministro della transizione ecologica si avvale dell’Istituto nell’esercizio delle proprie attribuzioni impartendo le direttive generali per il perseguimento dei compiti istituzionali e per lo svolgimento delle “attività tecnico-scientifiche e di controllo ambientale di interesse nazionale” come previsto dal Regolamento di organizzazione del Ministero (D.P.C.M. 29 luglio 2021, n. 128). Il MASE trasferisce annualmente all’ISPRA le risorse necessarie per le spese di funzionamento, le spese di natura obbligatoria e gli investimenti, come risultanti dagli appositi capitoli del bilancio dello Stato.

Il disastro di Seveso

Il disastro di Seveso è il nome con cui si ricorda l’incidente, avvenuto il 10 luglio 1976 nell’azienda ICMESA di Meda, che causò la fuoriuscita e la dispersione di una nube di diossina TCDD, una sostanza artificiale fra le più tossiche. Il veleno investì una vasta area di terreni dei comuni limitrofi della bassa Brianza, particolarmente quello di Seveso. Il disastro, che ebbe notevole risonanza pubblica e a livello europeo, portò alla creazione della direttiva 82/501/CEE, nota anche come direttiva Seveso. L’incidente di Seveso ha spinto gli Stati dell’Unione europea a dotarsi di una politica comune in materia di prevenzione dei grandi rischi industriali a partire dal 1982. La direttiva prende il nome dall’omonimo disastro di Seveso. Si trattò del primo evento nel quale la diossina era uscita da una fabbrica e aveva colpito la popolazione e l’ambiente circostante. Secondo una classifica del 2010 del periodico Time, l’incidente è all’ottavo posto tra i peggiori disastri ambientali della storia. Il sito americano CBS ha inserito il disastro tra le 12 peggiori catastrofi umane ambientali di sempre. Il 10 luglio del 1976 si è verificato uno dei più gravi incidenti ambientali della storia italiana: una nube di diossina si è sprigionata dalla fabbrica di cosmetici dell’Icmesa a Seveso, in Brianza. La fabbrica produceva triclorofenolo, che sopra i 156 gradi si trasforma in 2,3,7,8-tetracloro-dibenzodiossina (Tcdd), una varietà di diossina particolarmente tossica. E quel giorno, per un incidente in un reattore, la temperatura era salita fino a 500 gradi. Così l’area circostante è stata contaminata dal Tcdd, che può causare tumori e danni gravi al sistema nervoso, a quello cardiocircolatorio, al fegato e ai reni. Inoltre riduce la fertilità e, nelle donne incinte, può provocare malformazioni al feto e aborti spontanei. Che la diossina sia una sostanza cancerogena è stato affermato anche dall’International Agency for Research on Cancer. Il Tcdd in particolare è pericoloso anche in piccole dosi, e la quantità totale fuoriuscita dalla fabbrica di Seveso, che secondo le prime informazioni era di soli 300 grammi, oggi è stimata intorno ai 15 o anche 18 chili. Gli effetti immediati sulla popolazione sono stati evidenti soprattutto da un punto di vista dermatologico: già dopo due giorni sono comparsi i primi casi di cloracne, una malattia di cui è documentata la correlazione con la diossina. Oggi in totale il numero di casi di cloracne è salito a 193.

I dati epidemiologici sulla mortalità

Per valutare la mortalità a lungo termine legata alla diossina sono stati realizzati vari studi. Il primo copre gli anni fino al 1986, il secondo fino al 1991, il terzo arriva fino al 1996 e il quarto, che al momento è il più aggiornato, fino al 2001: copre quindi un periodo di 25 anni, ed è stato condotto sulla popolazione esposta alla diossina (divisa in zona A, zona B e zona R a seconda del grado di contaminazione della zona di abitazione) e su una popolazione di riferimento non esposta. Il programma di monitoraggio ha coinvolto circa 280.000 persone nell’area brianzola, di cui quasi 6.000 residenti nelle aree più colpite. La ricerca ha preso in esame il 99% di tutti i soggetti coinvolti. In base ai dati più recenti, il risultato più significativo riguarda l’incremento nelle zone più inquinate di neoplasie del tessuto linfatico ed emopoietico, in particolare per le donne: nella zona A (quella immediatamente intorno al luogo dell’incidente) il rate ratio è di 3,17, e nella zona B (quella più vasta intorno alla zona A) di 1,94. Il dato più alto riguarda i linfomi non-Hodgkin nella zona A (rate ratio di 4,45), mentre nella zona B il rate ratio per tutti i linfomi è di 2,14 e per i mielomi di 3,07. Fra gli uomini, l’unico dato in eccesso significativo riguarda la mortalità per leucemie, con un rate ratio di 2,07 nella zona B. Gli effetti dell’incidente di Seveso però non si limitano ai tumori: nelle zone A e B sono stati osservati anche incrementi della mortalità per malattie circolatorie nei primi anni dopo l’incidente, di malattie croniche ostruttive dei polmoni e di diabete mellito fra le donne. Lo studio quindi conferma il rischio tossico e carcinogenico dell’esposizione a Tcdd nell’uomo.

Quando accadde l’incidente, le conoscenza sulla diossina nel mondo erano quasi nulle, perché prima di allora non era mai stato possibile esaminare gli effetti della TCDD sull’uomo. Come ha raccontato il prof. Paolo Mocarelli dell’Ospedale di Desio, «Le fotocopie dei pochi lavori sulla diossina sono arrivate dalla National Academy of Sciences per via aerea». Si seppe così che la diossina aveva effetti tossici sugli animali, ma con reazioni molto diverse tra le specie e nei periodi dello sviluppo. In alcuni casi aveva dato effetti teratogeni, ossia in grado di alterare il normale sviluppo del feto. Nonostante all’epoca del disastro in Italia l’aborto fosse vietato, fatte salve alcune deroghe concesse dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 27 del 1975, nelle quali non rientrava comunque il caso delle ipotetiche malformazioni ai feti, il 7 agosto 1976 i due esponenti democristiani, l’allora Ministro della sanità Luciano Dal Falco e quello della giustizia Francesco Paolo Bonifacio, ottenuto il consenso del Presidente del consiglio Giulio Andreotti, autorizzarono aborti terapeutici per le donne della zona che ne avessero fatto richiesta. Aborti vennero praticati presso la clinica Mangiagalli di Milano e presso l’ospedale di Desio. I resti degli aborti furono inviati in Germania, a Lubecca, per gli opportuni controlli. La risposta ufficiale giunse nel 1977: pur non essendo evidenti i segni di malformazioni, non era possibile stabilire se queste si sarebbero sviluppate, dato che: «Alcune anomalie congenite, in particolari quelle minori a carico di certi organi – per esempio il cervello – non sono identificabili nelle prime fasi di sviluppo. Inoltre, le conclusioni che si possono trarre da questi studi devono tenere conto del numero limitato di casi studiati, del fatto che gli embrioni erano di diversa età e fase di sviluppo, e del fatto che nella maggior parte dei casi l’embrione non era integro». Nonostante tutto i bambini nati immediatamente dopo il disastro non riportarono malformazioni di alcun genere. All’epoca ci fu una serrata campagna di stampa a favore dell’interruzione di gravidanza, nonostante l’assenza di basi scientifiche certe. Nicola Adelfi su La Stampa propose di rendere l’aborto coatto, così «si cancellerebbe ogni resistenza affettiva, ogni scrupolo morale o di natura religiosa nelle persone interessate». Dissentivano Avvenire, L’Osservatore Romano, i cattolici locali con il giornale Solidarietà che uscì la prima volta il 29 agosto 1976 e Il Giornale di Indro Montanelli che scrisse: «Il rischio è per i bambini, non per la madre: si tratta di aborto eugenetico, e non terapeutico». II cardinale di Milano, Giovanni Colombo disse: «Plaudendo all’offerta generosa di alcuni coniugi che si sono dichiarati pronti ad adottare un bambino nato deforme, invitiamo tutte quelle coppie che si sentono di fare altrettanto a darne indicazione a noi o ad altri». Il dibattito sulla necessità di una regolamentazione dell’aborto attraverso leggi dello stato da anni interessava l’opinione pubblica, acquistando vigore proprio da questo evento e dal dramma che stavano vivendo le donne della zona contaminata. Si arrivò pertanto all’emanazione della Legge 194 del 22 maggio 1978, confermata poi dal referendum del 1981.

Disaster Manager

Disastri e catastrofi ambientali sono eventi sempre più frequenti a causa dei cambiamenti climatici. Un disastro, in base alla definizione data dalle Nazioni Unite, è un evento che porta ad una crisi, concentrata nel tempo e nello spazio e che comporta grave pericolo alla comunità, sconvolgendo la struttura sociale, in termini di perdite umane, di proprietà e beni, impedendo lo svolgimento delle funzioni essenziali della stessa. In questo contesto opera il disaster manager, una figura professionale specializzata nella gestione delle emergenze e nelle strategie per la prevenzione e la riduzione del rischio dei disastri.
Il Disaster Manager è un professionista della protezione civile in possesso delle conoscenze, abilità e competenze nel campo della previsione e della prevenzione dei rischi e della preparazione e della risposta alle emergenze. L’articolazione e lo sviluppo della professione dipendono in via principale dalla tipologia di organizzazione per quale il Disaster Manager presta la sua opera e dalla complessità di gestione degli eventi catastrofici. Pertanto, in relazione ai compiti e alla responsabilità, sono individuati in ordine crescente i seguenti livelli professionali:

– Disaster Manager di I livello
– Disaster Manager di II livello
– Disaster Manager di III livello

Il disaster manager è una figura professionale con competenze multidisciplinari. Si occupa di soccorso e gestione delle emergenze (terremoti, alluvioni ecc.) ma anche di prevenzione, attraverso l’analisi delle situazioni a rischio e la definizione degli interventi con l’obiettivo di ridurre il più possibile le conseguenze delle catastrofi naturali e delle altre emergenze.
Gli interventi del disaster manager vengono realizzati con una visione complessiva dei problemi ambientali:

  • individua gli scenari di rischio attraverso lo sviluppo e l’uso di modelli di simulazione, analizza i risultati e pianifica eventuali azioni di intervento;
  • coordina gruppi di persone e lavoro: organizza e controlla l’intervento del servizio medico e del pronto soccorso, delle unità cinofile, dei mezzi di trasporto disponibili, degli esperti che intervengono per disinnescare impianti e materiali pericolosi;
  • verifica il rispetto delle normative e delle procedure da adottare in caso di emergenza;
  • scrive manuali operativi su prevenzione e procedure di emergenza rivolti alle comunità locali;
  • svolge attività di supporto presso gli Enti locali per elaborare piani di emergenza.

Il disaster manager deve avere una conoscenza dei rischi ambientali e contemporaneamente anche una concreta capacità di coordinamento delle emergenze. Sono necessarie conoscenze in geologia, biologia, pronto intervento, psicologia e sociologia. I requisiti di competenza, le abilità e le conoscenze sono definiti dalla norma tecnica UNI 11656/2016 (Attività professionali non regolamentate – Professionista della Protezione Civile – Disaster Manager) con 3 livelli professionali, in base ai diversi contesti organizzativi e alla complessità delle attività svolte.
La norma UNI, fortemente orientata al mondo della Protezione Civile, in realtà è un utile strumento di riferimento anche per chi opera come Disaster Manager all’interno di specifiche realtà produttive private. Le articolate competenze che il Disaster Manager aziendale possono essere, all’interno di una realtà specifica, la fondamentale sinapsi informativa con la Protezione Civile e con l’eventuale figura di Disaster Manager da essa espressa.
Il Disaster Manager quindi risulta una figura trasversale, sia in termini di provenienza professionale e/o ordinistica, sia in termini di settori di interesse lavorativo. Questo deve essere visto come un arricchimento, poiché le competenze da mettere in campo in questo settore, richiedono necessariamente un approccio multidisciplinare e una spiccata capacità da parte del Disaster Manager di sintetizzare input e problematiche complesse, giungendo ad efficaci e tempestive risposte ai problemi generati o generabili da una crisi.

Ambulanza di tipo B

Le ambulanze in Italia sono classificate in tre tipologie: tipo A, B e C, a seconda della loro attrezzatura e delle capacità di intervento. Le ambulanze sono progettate per il trasporto d’emergenza e sono dotate di personale specializzato, come i paramedici o i tecnici sanitari di emergenza. All’interno delle ambulanze, sono presenti diverse attrezzature salvavita, come bombole di ossigeno, monitor, defibrillatori e altro ancora. Le ambulanze sono in grado di muoversi rapidamente nel traffico grazie alle sirene e alle luci lampeggianti, garantendo un trasporto sicuro e veloce del paziente in ospedale. L’accesso a personale medico altamente qualificato, in maniera tempestiva, può fare la differenza in una situazione di emergenza. In Italia, è possibile richiedere diversi tipi di ambulanze in base alle necessità del paziente: un’ambulanza da trasporto sanitario differisce dalle ambulanze di emergenza, che sono meno specialistiche delle ambulanze per il trasporto intensivo. Le ambulanze di tipo B vengono impiegate per i trasporti a codice bianco, per dimissioni e ricoveri presso gli ospedali e non sono provviste di sirene e lampeggianti. Queste ambulanze vengono inoltre utilizzate nel settore socio-sanitario per il trasporto dei pazienti che necessitano di cure specialistiche come day-hospital, dialisi, riabilitazione e fisioterapia. Le ambulanze di tipo B sono tipicamente più piccole e leggere di quelle di tipo A. Sono costruite su un telaio di un furgone commerciale o di un autocarro leggero e sono spesso chiamate “furgoni scatola” per la loro forma squadrata. Le ambulanze di tipo B sono utilizzate per il trasporto di pazienti che non richiedono un livello elevato di cure mediche, come quelli con ferite o malattie minori. Questa tipologia di ambulanza è dotata almeno delle attrezzature idonee ad assistere soggetti per i quali non si prevede evoluzione a condizioni critiche durante il tragitto, e dunque, si compone esclusivamente dei presidi sanitari di base. Ovviamente, in base alla tipologia di trasporto, l’allestimento dell’ambulanza può variare per adattarsi alle necessitò del paziente e alle competenze del personale che lo accompagna a bordo. In generale, un’ambulanza di tipo B viene utilizzata per il trasporto di pazienti che non necessitano di cure mediche d’urgenza e che possono essere trasportati in modo sicuro e confortevole verso strutture sanitarie o luoghi di cura per visite programmate, esami diagnostici, fisioterapia o riabilitazione. Alcuni esempi di situazioni in cui potrebbe essere opportuno chiamare un’ambulanza di tipo B includono:

  • Trasporto di pazienti che hanno bisogno di cure regolari per malattie croniche, come ad esempio la dialisi
  • Trasporto di pazienti che sono in fase di recupero dopo un intervento chirurgico o un ricovero in ospedale
  • Trasporto di persone che richiedono assistenza medica per visite programmate presso una struttura sanitaria
  • Trasporto di pazienti che necessitano di cure di fisioterapia o riabilitazione.

In ogni caso, in caso di dubbio sulla necessità di chiamare un’ambulanza di tipo B, è sempre consigliabile contattare il proprio medico di base o il pronto soccorso per ricevere indicazioni specifiche in base alla propria situazione medica.

SALA OPERATIVA INTEGRATA REGIONALE (S.O.I.R.)

La Sala Operativa Integrata Regionale (SOIR) è stata istituita dalla Regione Puglia attraverso Deliberazione di Giunta Regionale  n. 1762 del 23 settembre 2008, in attuazione della “Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 3 dicembre 2008” Indirizzi operativi per la gestione delle emergenze” e delle “Linee guida per la pianificazione di emergenza in materia di protezione civile” approvate dalla Regione Puglia con la Deliberazione della Giunta n. 255 del 7 marzo 2005, successivamente integrata e modificata dalla Deliberazione di Giunta Regionale n. 535 del 05 aprile 2018 recante “Nuovo assetto organizzativo della Sala Operativa regionale di Protezione Civile annessa al Centro Operativo Regionale”. Garantisce un servizio h24, sette giorni su sette, 365 giorni l’anno, con orario di lavoro articolato su turni che garantiscono la continuità nell’arco delle 24 ore. La SOIR è l’organo di recepimento e restituzione delle informazioni provenienti dal territorio e dalle Istituzioni di governo nazionale e/o locale preposte alla vigilanza territoriale e al pronto intervento emergenziale. In situazioni di normalità si occupa del monitoraggio territoriale, in caso di emergenza e/o di situazioni di rischio connesse ad eventi prevedibili o non prevedibili (rischio meteo/idrogeologico, rischio sismico, rischio industriale, ecc.) coordina le azioni per la salvaguardia della pubblica e privata incolumità,  in continuo contatto con la Sala Situazioni Italia del Dipartimento della Protezione Civile, con i Centri Operativi locali (COC e COM) e con il Centro Funzionale Decentrato Regionale del Servizio Protezione Civile Puglia. In caso di rischio meteorologico, idrogeologico ed idraulico, così come definito con Deliberazione della Giunta Regionale n. 2181 del 26 novembre 2013 “Procedure di allertamento del sistema regionale di protezione civile per rischio meteorologico, idrogeologico ed idraulico” la SOIR:

  • assicura lo scambio informativo con la Sala Situazioni Italia e con tutte le strutture operative di protezione civile (Comuni, Prefetture, Province, ecc.);
  • predispone e diffonde il Messaggio di allerta conseguente all’emissione da parte del CFD di un Avviso di criticità regionale o di un Bollettino di criticità regionale, ovvero in caso di emissione da parte del Dipartimento della Protezione Civile di un Avviso di avverse condizioni meteorologiche;
  • presidia h24 la struttura in caso di emissione di un Messaggio di allerta;
  • riceve dal CFD aggiornamenti sulla situazione pluvio-idrometrica in atto, effettuati mediante la rete di monitoraggio in telemisura;
  • comunica ai funzionari di turno del CFD ogni informazione pervenuta dal territorio durante l’evoluzione del fenomeno in atto;
  • comunica tempestivamente ogni segnalazione di criticità in atto sul territorio al Dirigente del Servizio e al CFD.

Alcool e guida

Si avvicina il momento che gli italiani attendono tutto l’anno con entusiasmo: i weekend estivi!
Per quanto momento gioioso e pieno di entusiasmo, è bene ricordarsi che ci sono alcuni accorgimenti da non tralasciare mai mentre siamo in movimento su strada. Il periodo delle vacanze è un periodo molto delicato per quanto riguarda la sicurezza stradale. La sicurezza stradale rappresenta un valore che non ha prezzo (la vita umana) e un tema centrale nel dibattito pubblico. L’alcol, fa parte dei comportamenti a rischio per la propria sicurezza e per quella degli altri. Se dovete guidare, evitate di bere alcolici. Bere e guidare non indica forza fisica, carattere, capacità di resistenza; indica solo presunzione sulle proprie capacità e scarso rispetto per chi viaggia con chi guida avendo bevuto o gli affida i propri beni. Se avete bevuto e dovete guidare, fatevi sostiture da altri alla guida. Gli effetti dell’alcol si fanno sentire anche dopo ore: tenetene conto se avete bevuto con abbondanza qualche ora prima di guidare.
Gli effetti negativi dell’alcol sulla guida sono ben noti. Esso agisce su diverse funzioni cerebrali (percezione, attenzione, elaborazione, valutazione ecc.), con effetti diversi e strettamente correlati alla quantità di alcol presente nel sangue, cioè al tasso alcolemico. C’è anche una grande differenza di comportamento tra le diverse bevande: l’alcol contenuto nella birra o nel vino viene assorbito più lentamente rispetto a quello di grappa o whisky; l’assorbimento dell’alcol è inoltre favorito dall’anidride carbonica dei vini frizzanti. In ogni caso, a parità di quantità di alcol ingerito nell’arco di un certo periodo di tempo sufficientemente breve, viene raggiunto sempre lo stesso valore massimo di alcolemia, qualunque sia la bevanda. I tempi di eliminazione sono poi molto influenzati dalla funzionalità del fegato: se “sofferente” essi possono allungarsi molto.
Oltre ai valori dell’alcolemia massima, entra in gioco la diversa sensibilità delle persone a quei valori, e soprattutto alla velocità con la quale essi aumentano. Le alterazioni nelle funzioni psichiche e sensoriali, rilevanti per la guida, possono infatti innescarsi a valori diversi da quelli standard: ci sono persone che si ubriacano più facilmente di altre, e non sempre questa variabilità di reazioni dipende dall’abitudine o dall’assuefazione all’uso di alcolici; anzi spesso sono soggetti che abusano di alcol quelli che per primi e più intensamente ne subiscono gli effetti negativi.
Pertanto, visto che gli effetti negativi per la guida sono presenti anche con valori alcolemici bassi, vale la regola fondamentale. Non bisogna dimenticare anche che molti farmaci (in primo luogo tranquillanti ed ansiolitici, ma anche antidolorofici, alcuni antistaminici, perfino sciroppi per la tosse) interagiscono con l’alcol, potenziando reciprocamente gli effetti negativi, con notevoli disturbi a carico dell’attenzione e della percezione, ancor più rilevanti in una situazione di stanchezza, stress e mancanza di sonno. Leggete attentamente i foglietti illustrativi dei medicinali ed evitate di ingerire alcol se da essi risulta anche la minima possibilità di effetti cumulativi.

Aggiornamento Coronavirus

Nell’ambito del monitoraggio sanitario settimanale relativo alla diffusione del Coronavirus sul territorio nazionale, negli ultimi 7 giorni sono 4.701le persone risultate positive al virus (contro 5.660 della settimana precedente). Sono 113.365 le persone attualmente positive in Italia, per un totale di 25.897.801 dal febbraio 2020) con 25.593.568 guariti. Il numero totale di decessi è 190.868. Stando all’aggiornamento, nella settimana sono stati dichiarati deceduti 86 per Covid-19 (contro gli 76 registrati nei 7 giorni precedenti): questo numero è confermato dall’Istituto Superiore di Sanità una volta stabilita la causa effettiva del decesso. Il tasso di positività resta del 2,6% (era già al 2,9%). Nel periodo di monitoraggio l’incidenza di nuovi casi identificati e segnalati con infezione da SARS-CoV-2 in Italia è in lieve diminuzione in tutte le Regioni italiane. È complessivamente molto basso l’impatto sugli ospedali, con un tasso di occupazione dei posti letto in diminuzione sia nelle aree mediche che nelle terapie intensive. Si ribadisce l’opportunità, in particolare per le persone a maggior rischio di sviluppare una malattia grave in seguito all’infezione da SARSCoV-2, di continuare ad adottare le misure comportamentali individuali previste e/o raccomandate, l’uso della mascherina, aereazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento. L’elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali come gli anziani e i gruppi di popolazione più fragili, rappresentano strumenti importanti per mitigare l’impatto clinico dell’epidemia.

SASS – SERVIZI AUSILIARI SECURITY & SAFETY (PROTEZIONE CIVILE – ODV)

PER EMERGENZE CONTATTARE IL 3929790903
  • SEDE OPERATIVA
  • BITONTO (BA) - VIA GIUSEPPE DOSSETTI C/O COMANDO POLIZIA LOCALE
  • EMAIL: info@sasspuglia.it
  • EMAIL: sass.puglia@gmail.com
  • PEC: sass.puglia@pcert.postecert.it