Il “piano caldo” per l’estate 2023

Se l’estate 2022 è stata da record per quanto riguarda le temperature raggiunte quella iniziata da poco potrebbe essere ancora più rovente. Riparte l’attività estiva del Piano Caldo finalizzato a prevenire gli effetti negativi del caldo sulla salute, soprattutto nelle persone più fragili. I bollettini sulle ondate di calore sono elaborati dal Dipartimento di Epidemiologia SSR, nell’ambito del Sistema operativo nazionale di previsione e prevenzione degli effetti del caldo sulla salute, coordinato dal Ministero. Vengono pubblicati, come ogni anno dal lunedì al venerdì, a partire da metà maggio fino a metà settembre. Il sistema operativo è dislocato in 27 città italiane e consente di individuare, giornalmente, per ogni specifica area urbana, le condizioni meteo-climatiche a rischio per la salute, soprattutto dei soggetti vulnerabili: anziani, malati cronici, bambini, donne in gravidanza. Le città monitorate sono: Ancona, Bari, Bologna, Bolzano, Brescia, Cagliari, Campobasso, Catania, Civitavecchia, Firenze, Frosinone, Genova, Latina, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Perugia, Pescara, Reggio Calabria, Rieti, Roma, Torino, Trieste, Venezia, Verona, Viterbo. Dal portale del Ministero è possibile scaricare numerosi opuscoli e materiale informativo sulle ondate di calore, per la popolazione generale e gli operatori del settore sanitario e socio-sanitario (medici, personale delle strutture per gli anziani, personale che assiste gli anziani). Nel dettaglio il piano stabilisce le parti attive e vulnerabili prevedendo sia le raccomandazioni per convivere con le alte temperature sia le indicazioni per i medici di medicina generale e per le Aziende sanitarie locali che garantiranno i servizi sanitari. Sono previsti i sistemi di rilevazione degli effetti del caldo sulla salute e di monitoraggio sulle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa), ma anche l’anagrafe degli anziani suscettibili divisa in due fasce d’età: 65-74 anni con ricoveri nei primi due anni precedenti per patologie polmonari croniche; più di 75 anni, in particolare le donne, i non coniugati o i vedovi e le persone che hanno avuto più di 4 ospedalizzazioni nei due anni precedenti. Un’attenzione maggiore deve essere rivolta ai più deboli che hanno avuto ricoveri per diabete, malattie del sistema nervoso centrale, patologie psichiatriche e cerebrovascolari.
Sono 4 i livelli di rischio crescente:

– livello 0, le condizioni meteorologiche non sono a rischio per la salute della popolazione;
– livello 1, le condizioni meteorologiche precedono il livello 2 con la conseguente preallerta dei servizi sanitari e sociali;
– livello 2, le temperature elevate e le condizioni meteorologiche possono avere degli effetti negativi sulla salute della popolazione, in particolare nei sottogruppi di popolazione suscettibili con l’allerta dei servizi sanitari e sociali;
– livello 3, l’ondata di calore ha un elevato rischio e persiste da almeno tre giorni, con l’immediata allerta dei servizi sanitari e sociali.

Il bollettino, come sappiamo, viene emesso tutti i giorni ed è consultabile sul sito del Ministero della Salute e del Dipartimento di Epidemiologia del Servizio sanitario regionale.
Di seguito, le caratteristiche del programma per l’estate 2023:

  • identificare i sottogruppi di popolazione suscettibili al caldo sulla base della presenza di specifiche patologie croniche e uso di farmaci che possono favorire i disturbi da calore o in condizioni di solitudine e isolamento;
  • garantire un efficace trattamento della patologia di base attraverso l’attività di sorveglianza, limitando gli accessi inappropriati alle strutture sanitarie;
  • garantire un monitoraggio dei pazienti al proprio domicilio, tramite accessi domiciliari o teleassistenza, nei giorni in cui sono previsti i livelli 1, 2, 3;
  • individuare precocemente l’insorgenza dei sintomi delle patologie associate al caldo (disidratazione, crampi, edemi, stress da calore, colpo di calore), limitando gli accessi inappropriati alle strutture sanitarie;
  • informare i pazienti e i loro familiari sulle misure preventive alle ondate di calore, ricordando che i sintomi di febbre, tosse secca e debolezza possono essere legati al Covid-19. Attuando, altresì, le misure di prevenzione e contenimento dell’infezione già in vigore.

Tra i consigli più importanti si rileva:
– evitare di esporsi al caldo e al sole diretto;
– recarsi in luoghi pubblici come parchi e giardini nelle ore più fresche della giornata rispettando sempre la distanza di almeno un metro, utilizzando i gel igienizzanti per le mani e indossando i dispositivi di protezione anche se fa caldo;
– soggiornare in luoghi climatizzati per combattere gli effetti del caldo sia nell’ambiente domestico sia di lavoro anche solo per alcune ore;
– effettuare bagni e docce con acqua fredda per abbassare la temperatura corporea;
– assicurare un adeguato ricambio di aria per ridurre il rischio di trasmissione del virus, effettuando la pulizia dei filtri e la ventilazione degli spazi in caso di utilizzo del climatizzatore;
– bere molta acqua e mangiare frutta fresca, ma anche pasti leggeri durante l’arco della giornata;
– conservare in modo appropriato gli alimenti deperibili, in primis i latticini, le carni, i dolci con le creme, i gelati…;
– indossare un vestiario leggero e comodo, di cotone, lino o fibre naturali, evitando le fibre sintetiche e assicurando che un familiare malato o costretto a letto non sia troppo coperto;
– proteggere la pelle dalle scottature con le creme solari con alto fattore protettivo, indossando cappelli leggeri e di colore chiaro per proteggere la testa dal sole;
– conservare i farmaci in modo adeguato e non devono essere sospese autonomamente le terapie in corso soprattutto in pazienti vulnerabili, ma occorre un consulto medico;
– evitare l’esposizione al sole diretto ai bambini, applicando i prodotti solari ad alta protezione all’aria aperta, garantendo un vestiario leggero, lasciando ampie superfici cutanee scoperte, vigilando che essi assumano sufficienti quantità di liquidi, limitando le attività fisiche durante le ore più calde anche per i bambini grandi.

Infine, le donne in gravidanza devono proteggersi dal caldo, reintegrare i liquidi e i sali minerali persi attraverso la sudorazione per garantire l’equilibrio materno-fetale, contattare il ginecologo o il medico di fiducia se i sintomi non migliorano ed evitare di passeggiare lungo le strade trafficate, ma anche difendere il neonato dal caldo e dal sole, controllando regolarmente la temperatura corporea e, se necessario, rinfrescarne delicatamente il corpo con una doccia tiepida o con panni umidi.

Progetto Copernicus EU

Copernicus è il programma di osservazione della Terra dell’Unione europea, dedicato a monitorare il nostro pianeta e il suo ambiente a beneficio di tutti i cittadini europei. Offre servizi di informazione basati sull’osservazione satellitare della Terra e dati in situ (non spaziali). Il programma è coordinato e gestito dalla Commissione europea ed è attuato in collaborazione con gli Stati membri, l’Agenzia spaziale europea (ESA), l’Organizzazione europea per l’esercizio dei satelliti meteorologici (EUMETSAT), il Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine (CEPMMT), le agenzie dell’UE e Mercator Océan. Il programma utilizza enormi quantità di dati globali provenienti da satelliti e da sistemi di misurazione terrestri, aerei e marittimi per fornire informazioni che aiutino i prestatori di servizi, le autorità pubbliche e altre organizzazioni internazionali a migliorare la qualità della vita dei cittadini europei. I servizi di informazione forniti sono accessibili agli utenti del programma in modo libero e gratuito. Copernicus è servito da una serie di satelliti dedicati (le famiglie Sentinel) e da missioni partecipanti (satelliti commerciali e pubblici esistenti). I satelliti Sentinel sono stati specificamente progettati per soddisfare le esigenze dei servizi di Copernicus e dei loro utenti. Il lancio di Sentinel-1A nel 2014 da parte dell’Unione europea ha segnato l’avvio di un processo che prevede la messa in orbita di una costellazione di quasi 20 ulteriori satelliti entro il 2030. Copernicus raccoglie inoltre informazioni da sistemi in situ come le stazioni di terra, che forniscono dati acquisiti da numerosi sensori posizionati al suolo, in mare o nell’atmosfera. Analizzandoli ed elaborandoli, i servizi Copernicus trasformano questa ricchezza di dati raccolti da satelliti e in situ in informazioni a valore aggiunto. Le serie di dati acquisiti nel corso di anni e decenni sono indicizzate e rese comparabili garantendo così il monitoraggio dei cambiamenti; i modelli strutturali sono esaminati e utilizzati per aumentare la capacità di previsione, ad esempio, nell’analisi degli oceani e dell’atmosfera. Dalle immagini satellitari sono create mappe, individuate caratteristiche ed anomalie ed estrapolate informazioni statistiche. Le informazioni fornite dai servizi Copernicus possono essere utilizzate dagli utenti finali per una miriade di applicazioni in svariate aree, tra cui la gestione delle aree urbane, lo sviluppo sostenibile e la protezione della natura, la pianificazione regionale e locale, l’agricoltura, la silvicoltura e la pesca, la sanità, la protezione civile, le infrastrutture, i trasporti e la mobilità, nonché il turismo. I principali utenti dei servizi Copernicus sono i responsabili politici e le autorità pubbliche che necessitano delle informazioni per sviluppare normative e politiche ambientali o per adottare decisioni cruciali in caso di emergenza, come una catastrofe naturale o una crisi umanitaria. Grazie ai servizi Copernicus e ai dati raccolti tramite i satelliti Sentinel e le missioni partecipanti, è possibile sviluppare molteplici servizi a valore aggiunto in grado di rispondere a esigenze pubbliche o commerciali specifiche, generando nuove opportunità commerciali. Nel dicembre 2017 la Commissione europea ha ultimato uno studio su vasta scala in cui si analizzavano i benefici economici, sociali e ambientali del programma Copernicus in base a vari scenari di evoluzione. Lo studio era incentrato sull’Europa e riguardava il periodo 2017 – 2035. Era volto ad attribuire un valore monetario a tutti i benefici generati dal programma Copernicus per utenti intermedi e finali, con l’obiettivo di fornire ai responsabili politici UE e nazionali una stima della potenziale redditività dell’investimento. Al fine di mostrare i risultati di questo recente studio, la Commissione europea ha pubblicato un opuscolo, una relazione e una sintesi. La relazione sul mercato relativo a Copernicus e diversi studi economici precedenti avevano già dimostrato l’enorme potenziale del programma in termini di creazione di posti di lavoro, innovazione e crescita. Il programma Copernicus è coordinato e gestito dalla Commissione europea. Lo sviluppo dell’infrastruttura di osservazione avviene sotto l’egida dell’Agenzia spaziale europea per la componente spaziale e dell’Agenzia europea dell’ambiente e degli Stati membri per la componente in situ.

Piano Nazionale di Protezione Civile per Vulcano

Un piano di protezione civile è l’insieme delle procedure operative di intervento per fronteggiare una qualsiasi calamità attesa in un determinato territorio. Il piano di protezione civile recepisce il programma di previsione e prevenzione, ed è lo strumento che consente alle autorità di predisporre e coordinare gli interventi di soccorso a tutela della popolazione e dei beni in un’area a rischio. Ha l’obiettivo di garantire con ogni mezzo il mantenimento del livello di vita” civile” messo in crisi da una situazione che comporta gravi disagi fisici e psicologici.
Struttura del piano. Il piano si articola in tre parti fondamentali:

1. Parte generale: raccoglie tutte le informazioni sulle caratteristiche e sulla struttura del territorio;
2. Lineamenti della pianificazione: stabiliscono gli obiettivi da conseguire per dare un’adeguata risposta di protezione civile ad una qualsiasi situazione d’emergenza, e le competenze dei vari operatori;
3. Modello d’intervento: assegna le responsabilità decisionali ai vari livelli di comando e controllo, utilizza le risorse in maniera razionale, definisce un sistema di comunicazione che consente uno scambio costante di informazioni.

Obiettivi del piano. Un piano di protezione civile è un documento che:

  • assegna la responsabilità alle organizzazioni e agli individui per fare azioni specifiche, progettate nei tempi e nei luoghi, in un’emergenza che supera la capacità di risposta o la competenza di una singola organizzazione;
  • descrive come vengono coordinate le azioni e le relazioni fra organizzazioni;
  • descrive in che modo proteggere le persone e la proprietà in situazioni di emergenza e di disastri;
  • identifica il personale, l’equipaggiamento, le competenze, i fondi e altre risorse disponibili da utilizzare durante le operazioni di risposta;
  • identifica le iniziative da mettere in atto per migliorare le condizioni di vita degli eventuali evacuati dalle loro abitazioni.

È un documento in continuo aggiornamento, che deve tener conto dell’evoluzione dell’assetto territoriale e delle variazioni negli scenari attesi. Anche le esercitazioni contribuiscono all’aggiornamento del piano perché ne convalidano i contenuti e valutano le capacità operative e gestionali del personale. La formazione aiuta, infatti, il personale che sarà impiegato in emergenza a familiarizzare con le responsabilità e le mansioni che deve svolgere in emergenza. Un piano deve essere sufficientemente flessibile per essere utilizzato in tutte le emergenze, incluse quelle impreviste, e semplice in modo da divenire rapidamente operativo. La pianificazione a livello nazionale ha l’obiettivo di definire e coordinare gli interventi di soccorso e assistenza alla popolazione per affrontare una calamità attesa, classificabile come evento di “tipo c”. I piani di emergenza nazionali sono distinti per tipo di rischio e riferiti ad aree specifiche del territorio italiano, individuate con il concorso della comunità scientifica, in funzione della pericolosità dell’evento e della vulnerabilità del territorio. Il Piano di emergenza nazionale assicura la mobilitazione di tutte le componenti del Servizio Nazionale di Protezione Civile come un’unica organizzazione di emergenza, a cui concorrono istituzioni centrali e periferiche, organizzazioni di volontariato e imprese private, e se necessario i Paesi esteri, per dare primo soccorso e assistenza ai cittadini.
Tra i diversi interventi nazionali di protezione civile troviamo quello per il rischio vulcanico sull’isola di Vulcano. L’isola di Vulcano, la più meridionale delle sette isole che compongono l’arcipelago eoliano, ha un’estensione di 22 kmq e raggiunge un’altitudine di 500m sul livello del mare (Monte Aria). Dal 1890 il vulcano è quiescente e  mostra un’intensa attività di emissione di gas e vapore ad alta temperatura dal cratere di La Fossa e in prossimità del Porto di Levante. L’isola ha una morfologia complessa, dovuta all’alternarsi di fasi costruttive, con eruzioni effusive o esplosive di bassa energia, e fasi distruttive, con eruzioni violentemente esplosive. Da settembre 2021 il sistema di monitoraggio dell’Ingv ha registrato un incremento della concentrazione e della temperatura dei gas vulcanici, un’estensione delle aree di emissione e un aumento della frequenza di lievi terremoti. In considerazione di tale variazione nei parametri il Dipartimento della Protezione Civile ha disposto il 1° ottobre 2021 il passaggio a livello di allerta giallo. 

Strisce del clima

Il cambiamento climatico è una verità incontrovertibile. I risultati del mutamento in corso del clima sono lampanti, così come sono ampiamente dimostrabili le conseguenze che il perpetuarsi dell’inquinamento avrà sul nostro pianeta. A livello scientifico la certezza scientifica dell’impatto dei gas serra generati dall’uomo sulla salute della terra è ormai condivisa quanto lo sono, per dire, teorie come quella dell’evoluzione e della tettonica delle placche. A conti fatti, come è stato dichiarato prima della COP26, il 99.9% degli scienziati è concorde nell’affermare che il clima è stato alterato e lo sarà in futuro dalle azioni umane, con cambiamenti che in alcuni casi sono già adesso del tutto irreversibili: parliamo dello scioglimento di ghiacci polari e dei ghiacciai alpini, come anche dell’innalzamento dei mari. Eppure molte persone restano ancora oggi scettiche, o perlomeno poco coinvolte, intorno a quello che sta accadendo. Per questo motivo ci sono persone che si impegnano per rendere visibili e pienamente comprensibili i cambiamenti climatici in corso: tra questi professionisti c’è Ed Hawkins, con le sue famose Warming Stripes. Le strisce del clima, barre colorate che mostrano l’andamento crescente delle temperature nel corso del tempo, sono un metodo facile per comprendere un fenomeno complesso. Il suo progetto partiva dall’idea base di fornire una spiegazione semplice e comprensibile a tutti sul grave andamento delle temperature terrestri, rendendo in modo visivo come questo sia cambiato nel corso degli anni fino a giungere ai giorni nostri. Per l’appunto, fenomeni come il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici sono eventi di portata planetaria che riguardano l’intera umanità e non solo. Ma talvolta, i dati forniti dagli esperti risultano di difficile interpretazione per coloro che non sono del settore. Ed è proprio per superare questo ostacolo comunicativo che “show your stripes” (letteralmente “mostra le tue strisce”) nasce. Dal blu al rosso, tante barre colorate disposte una accanto all’altra e nient’altro. Nessun numero o calcolo particolare. Nemmeno una statistica o un qualche grafico complicato derivante dalla combinazione di mille variabili. Nulla di tutto questo, solo semplici fasce verticali. Questo è l’aspetto con cui si presentano le strisce del clima o climate stripes. Ogni striscia nelle “climate stripes” rappresenta la temperatura media di un singolo anno rispetto alla temperatura media di un preciso periodo storico: una striscia blu rappresenta un anno più freddo della media, una striscia rossa indica invece un anno più caldo della media. Concentrandosi sul territorio pugliese, si nota come la Puglia sta diventando più calda e più piovosa a causa del cambiamento climatico.

Sicurezza stradale nei weekend

Si avvicina il momento che gli italiani attendono tutto l’anno con entusiasmo: i weekend estivi!
Per quanto momento gioioso e pieno di entusiasmo, è bene ricordarsi che ci sono alcuni accorgimenti da non tralasciare mai mentre siamo in movimento su strada. Il periodo delle vacanze è un periodo molto delicato per quanto riguarda la sicurezza stradale. La sicurezza stradale rappresenta un valore che non ha prezzo (la vita umana) e un tema centrale nel dibattito pubblico. Purtroppo, però, per un antico “vizio di forma” del sistema informazione, non riceve l’attenzione che meriterebbe. E, così, mentre l’incidentalità stradale riempie le pagine della cronaca, la sicurezza stradale riesce a strappare poche righe qua e la. Il tema della sicurezza stradale è sicuramente centrale nell’ambito della vita moderna.  L’incremento della motorizzazione è stato infatti costante negli ultimi decenni. Le automobili e i motocicli sono ormai da lungo tempo imprescindibili compagni del nostro quotidiano, così come i commerci passano ancora in gran parte attraverso il trasporto su gomma. Non solo, ma all’interno dei centri abitati è necessario anche prendere in considerazione altri veicoli come le biciclette e, con un notevole incremento in tempi recenti, mezzi non ancora regolamentati come i monopattini, che promettono di districarsi agevolmente nel traffico cittadino, ma, al contempo, costituiscono un ulteriore elemento di pericolo. Se da un lato non è certamente pensabile fare a meno dei mezzi di autotrasporto nel prossimo futuro, dall’altro lato bisogna fare i conti con i notevoli rischi che sono riconnessi alla viabilità stradale, sia per i conducenti dei vari mezzi, sia per i pedoni che condividono con questi ultimi l’utilizzo delle strade. Le dimensioni del problema sono realmente molto preoccupanti, sebbene il combinato disposto nell’introduzione di nuove norme di sicurezza e della sensibilizzazione degli utenti della strada abbia condotto ad una costante diminuzione delle vittime di incidenti dagli anni Settanta ad oggi. Prima il dato impressionante: si stima che gli incidenti stradali abbiano causato nel complesso, dal momento dell’invenzione degli autoveicoli, un numero di morti superiore a quello di tutte le guerre combattute nel medesimo periodo, incluse ovviamente le due guerre mondiali. A stemperare parzialmente l’immagine di questa vera e propria carneficina ci sono i dati recenti e le loro progressioni. Il tasso di mortalità in Italia è passato da circa 20 morti su 100000 abitanti nel 1970 a circa 8 morti su 100000 abitanti negli anni successivi al 2005, in linea con le medie europee. Non è possibile comunque ritenersi soddisfatti: sia perché il costo in termini di vite umane è ancora altissimo, sia perché il fatto che siano diminuiti i decessi causati dagli incidenti stradali non deve distogliere dalle conseguenze diverse da quelle mortali: si stima che le ferite da incidenti stradali siano la terza causa in Italia di disabilità o malattia. Vediamo allora chi si occupa della sicurezza stradale in Italia e quali sono le misure di sicurezza che dovrebbero garantire la vita e l’incolumità degli utenti della strada, con particolare riferimento alle norme che devono essere rispettate proprio dai guidatori per garantire l’incolumità propria e altrui.

Chi si occupa di sicurezza stradale in Italia
Vediamo anzitutto chi si occupa della sicurezza in Italia, sia a livello di osservazione e pianificazione che del rispetto delle norme che sono volte proprio a garantire quella sicurezza. Questo compito fondamentale è svolto infatti da una pluralità di attori, che coprono diverse aree di pertinenza. I principali enti di competenza sulla sicurezza stradale sono:

  • Ministeri;
  • Osservatorio Sicurezza Stradale;
  • Associazioni datoriali e sindacali;
  • Osservatorio sicurezza stradale regionale.

Inoltre, il controllo e la pianificazione rispetto alle crisi determinate dalla viabilità stradale e l’adozione anche in via preventiva delle strategie di intervento è invece demandato a Viabilità Italia, la struttura del Ministero dell’Interno specificamente preposta a raccogliere e gestire tutte le informazioni sul traffico veicolare. Si tratta quindi del principale attore italiano in relazione alla prevenzione e alla sicurezza stradale. Per quanto attiene invece ai controlli sul rispetto delle regole da parte degli utenti della strada, bisogna distinguere:

  • le strade comunali e provinciali sono controllate dalle Polizie locali;
  • strade statali e autostrade, il controllo è affidato alla Polizia Stradale, un reparto della Polizia di Stato il cui compito prevalente è proprio quello di svolgere attività inerenti alla viabilità.

Il complesso di persone, enti ed organi che intervengono rende le dimensioni dell’importanza endemica della questione, rispetto alla sicurezza dei cittadini nella vita quotidiana.
Per ridurre a zero i morti sulle strade c’è un’unica strada: la formazione. Una strada a tre corsie, tutte fondamentali: 

  • educazione stradale nelle scuole. La sicurezza stradale è una lingua e, come ogni lingua, si impara da piccoli; 
  • formazione alla guida, attraverso metodologie didattiche e tecnologie innovative. La patente non è un “pezzo di carta” ma un momento fondamentale nella formazione – non solo pratica ma anche culturale – di ogni automobilista;
  • campagne di sensibilizzazione, per mantenere alta l’attenzione di tutti gli utenti della strada, su valori quali responsabilità, rispetto di sé, degli altri e delle regole. Valori che, più la mobilità si complica, arricchendosi di nuovi protagonisti – minicar, bici elettriche, monopattini, overboard, monoruote – più diventano fondamentali nel fare la differenza tra vivere la strada o rischiare di perdere o far perdere la vita.

Fu proprio l’ACI, quarant’anni fa (1982), a proporre – attraverso una iniziativa di legge popolare (primo firmatario Enzo Ferrari) – l’insegnamento dell’educazione stradale nelle scuole di ogni ordine e grado. Proposta che si sarebbe, poi, concretizzata nell’art. 230 del Codice della Strada. Da allora, non si contano le iniziative di educazione stradale, rivolte a tutte le scuole di ogni ordine e grado, nelle quali l’ACI è, quotidianamente, impegnato, su tutto il territorio nazionale. Nessuna miglioria nella progettazione delle strade e nessuna tecnologia salvavita installata per legge sui veicoli può tuttavia essere realmente efficace senza che vengano attuati comportamenti corretti e virtuosi da parte dei guidatori. Per questo motivo è fondamentale la sensibilizzazione sul tema della sicurezza stradale, con campagne mirate a tale scopo: lo slogan giornalistico “le stragi del sabato sera” rappresenta purtroppo la triste realtà di quando i guidatori abbassano la soglia di attenzione e autocontrollo. Ovviamente il primo step fondamentale è la conoscenza del codice della strada. Segue poi il rispetto delle norme come abitudine costante. La FIA (Federazione Internazionale dell’Automobile) con il supporto dell’ACI e di altri Automobile Club internazionali, ha lanciato una campagna per la sicurezza e ha stilato ormai da alcuni anni un vero e proprio decalogo delle regole da seguire per la sicurezza stradale:

  1. Rispetta il codice della strada;
  2. Cinture di sicurezza sempre allacciate, non solo quando sei alla guida ma anche da semplice passeggero, persino sui sedili posteriori. Questo è infatti sia un obbligo di legge sia una norma fondamentale di sicurezza;
  3. Rispetta i limiti di velocità, prestando sempre attenzione alla segnaletica e al tipo di strada che stai percorrendo;
  4. Controlla periodicamente gli pneumatici affinché siano sempre alla pressione corretta in modo da garantirti prestazioni ottimali;
  5. Non assumere alcol o droghe prima di metterti alla guida;
  6. Fermati quando sei stanco;
  7. Proteggi i bambini a bordo, utilizzando gli appositi seggiolini, a seconda della loro età;
  8. Non distrarti. Il primo indiziato è il telefono cellulare, che non va mai utilizzato alla guida, ma vanno evitate anche altre fonti di distrazione;
  9. Indossa sempre il casco quando sei in moto. Un altro obbligo di legge che è, al tempo stesso, una norma fondamentale di sicurezza;
  10. Dimostrati sempre cortese e rispettoso degli altri quando sei alla guida. Questa è più una regola di vita che una norma di sicurezza, ma risulta particolarmente efficace, quando sei al volante, per evitare situazioni di rischio e guidare con serenità.

Sapere quali normative sono in vigore e rispettarle è indispensabile per la sicurezza stradale e l’incolumità di tutti. Chiunque guidi un veicolo deve conoscere il Codice della Strada, questo per viaggiare informati e avere una guida sicura che tuteli noi stessi e gli altri.

Aggiornamento Casi Covid

Contagi covid in netto calo in Italia nell’ultima settimana. Sono infatti 9.084 i nuovi casi di Covid-19 registrati in Italia. È quanto emerge dal nuovo bollettino settimanale del Ministero della Salute pubblicato oggi, venerdì 30 giugno. Il dato infatti è nettamente inferire rispetto ai circa 13mila casi della settimana precedente. Nell’ultima settimana cala anche il numero di tamponi effettuati in Italia che si attesta a 208.410, in diminuzione rispetto ai 246mila test della settimana precedente. Il tasso di positività nei sette giorni considerati, dunque, è al 4,4%, in calo di un punto percentuale esatto rispetto ella passata rilevazione. In calo anche il numero dei decessi per covid nell’ultima settimana. Il bollettino covid settimanale indica infatti108 ulteriori decessi contro i 125 della precedente rilevazione. I guariti in più rispetto alla settimana precedente sono 10.529. Calano nettamente i ricoveri covid sia nei normali reparti sia quelli in terapia intensiva dove il numero dei pazienti si è ulteriormente ridotto. Sono infatti 304 i pazienti covid in meno nei normali reparti rispetto alla settimana precedente mentre questa settimana si registrano 12 posti letto occupati in meno nei reparti critici.

Giornata mondiale degli asteroidi

Oggi è la Giornata mondiale degli asteroidi, ma niente panico: nessuno di loro sta per abbattersi sulla Terra. Il motivo per cui il 30 giugno si celebra l’Asteroid Day è infatti legato all’evento di Tunguska. Era il lontano 1908 quando alle prime luci dell’alba una fortissima esplosione distrusse 2mila chilometri quadrati di foresta della Siberia orientale. I ricercatori riuscirono a raggiungere il luogo solo dieci anni dopo: lo spettacolo di devastazione che si trovarono di fronte li sconvolse. Ancora oggi non sappiamo con certezza quale sia stata la causa. Tra le ipotesi, la più accreditata ritiene che un piccolo asteroide di circa 30-40 metri esplose attraversando l’atmosfera, ma i suoi frammenti non impattarono con la Terra, limitandosi a produrre un forte spostamento d’aria. Tuttavia, la totale assenza di testimoni ha fatto sì che l’episodio rimanesse avvolto nel mistero. Le celebrazioni ufficiali sono state istituite nel 2014 dall’Unesco su impulso di Brian May, astrofisico e chitarrista dei Queen, Russell Louis “Rusty” Schweickart, astronauta dell’Apollo 9, Danica Remy, presidente della Fondazione B612 e Grig Richters, regista e attivista politico. L’obiettivo è quello di attirare l’attenzione sull’importanza degli asteroidi, noti anche con il termine di minor planets (piccoli pianeti). Per asteroide si intende un corpo celeste simile a un pianeta di piccole dimensioni non sferico. Quanto alla natura degli asteroidi, si pensa che siano frammenti del disco protoplanetario che non sono stati incorporati nei pianeti durante la formazione del Sistema solare. Quelli molto piccoli vengono chiamati meteoroidi, mentre quelli composti prevalentemente da ghiaccio sono le più famose comete. Un tema del quale negli ultimi due anni l’Inaf si è occupato in modo sistematico – insieme ad altre potenziali minacce planetarie – grazie al progetto Sorvegliati spaziali. Dedicato allo studio degli eventi celesti che possono avere effetti sul nostro pianeta, Sorvegliati spaziali, in vista della ricorrenza di oggi, ha organizzato un evento aperto al pubblico lungo cinque giorni.  Quest’anno l’Asteroid Day assume particolare rilevanza grazie alla missione di Difesa Planetaria “DART”, la quale, secondo dati recenti, è riuscita a dimostrare la capacità di deviazione di asteroidi mediante l’impatto di veicoli spaziali. In particolare mediante l’impatto intenzionale del veicolo spaziale DART con l’asteroide Dimorphos, avvenuto lo scorso 26 settembre. A seguito della collisione con la sonda, il suo periodo orbitale, attorno al più grande asteroide Dydimos, si è ridotto di 32 minuti.

La protezione civile nella storia: dal 1992 al 2018

Nel 1981 il regolamento d’esecuzione della Legge n. 996 del 1970 individua per la prima volta gli organi ordinari (Ministro dell’Interno, Prefetto, Commissario di Governo nella Regione, Sindaco) e straordinari di protezione civile (Commissario straordinario), e ne disciplina le rispettive competenze. La protezione civile viene definita compito primario dello Stato. Si comincia a parlare di prevenzione degli eventi calamitosi, attraverso l’individuazione e lo studio delle loro cause. Sono gli organi statali – Prefetto e Commissario di governo – a svolgere il ruolo più importante nella gestione dell’emergenza.Nel 1982 viene formalizzata la figura del Ministro per il Coordinamento della Protezione Civile (Legge n.938 del 1982), una sorta di “commissario permanente” pronto ad intervenire in caso di emergenza. Si evita così di individuare ogni volta un commissario e creare ex novo la macchina organizzativa. Il Ministro per il Coordinamento della Protezione Civile si avvale del Dipartimento della Protezione Civile, istituito sempre nel 1982 nell’ambito della Presidenza del Consiglio (Ordine di Servizio del 29 aprile). Invece di istituire un apposito ministero, con una struttura burocratica e di pari rango rispetto agli altri ministeri, si sceglie di creare un organismo snello, sovra ministeriale, capace di coordinare tutte le forze di cui il Paese può disporre.Il Dipartimento della Protezione Civile raccoglie informazioni e dati in materia di previsione e prevenzione delle emergenze, predispone l’attuazione dei piani nazionali e territoriali di protezione civile, organizza il coordinamento e la direzione dei servizi di soccorso, promuove le iniziative di volontariato, e coordina la pianificazione d’emergenza, ai fini della difesa civile.La protezione civile si muove ormai lungo quattro direttrici principali: previsione, prevenzione, soccorso, ripristino della normalità. La svolta definitiva arriva con la Legge n. 225 del 1992 e la nascita del Servizio Nazionale della Protezione Civile, con il compito di “tutelare l’integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e altri eventi calamitosi”. La struttura di protezione civile viene riorganizzata profondamente come un sistema coordinato di competenze al quale concorrono le amministrazioni dello Stato, le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri enti locali, gli enti pubblici, la comunità scientifica, il volontariato, gli ordini e i collegi professionali e ogni altra istituzione anche privata. Tutto il sistema di protezione civile si basa sul principio di sussidiarietà. La prima risposta all’emergenza, qualunque sia la natura e l’estensione dell’evento, deve essere garantita a livello locale, a partire dalla struttura comunale, l’istituzione più vicina al cittadino. Il primo responsabile della protezione civile è quindi il Sindaco: in caso di emergenza assume la direzione e il coordinamento dei soccorsi e assiste la popolazione, organizzando le risorse comunali secondo piani di emergenza prestabiliti per fronteggiare i rischi specifici del territorio. Quando un evento non può essere fronteggiato con i mezzi a disposizione del comune, si mobilitano i livelli superiori attraverso un’azione integrata: la Provincia, la Prefettura, la Regione, lo Stato. Questo complesso sistema di competenze trova il suo punto di collegamento nelle funzioni di impulso e coordinamento affidate al Presidente del Consiglio dei Ministri, che si avvale del Dipartimento della Protezione Civile. La legge 225/92 definisce le attività di protezione civile: oltre al soccorso e alle attività volte al superamento dell’emergenza, anche la previsione e la prevenzione. Il sistema non si limita quindi al soccorso e all’assistenza alla popolazione, ma si occupa anche di definire le cause delle calamità naturali, individuare i rischi presenti sul territorio e di mettere in campo tutte le azioni necessarie a evitare o ridurre al minimo la possibilità che le calamità naturali provochino danni. Gli eventi calamitosi vengono classificati, per estensione e gravità, in tre diversi tipi. Per ogni evento si individuano i competenti livelli di protezione civile che devono attivarsi per primi: a (livello comunale), b (provinciale e regionale) e c (Stato). In caso di evento di “tipo c”, che devono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari, la competenza del coordinamento dei soccorsi viene affidata al Presidente del Consiglio dei Ministri, che può nominare Commissari delegati.Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio, delibera lo stato di emergenza, determinandone durata ed estensione territoriale. Il Presidente del Consiglio può emanare ordinanze di emergenza e ordinanza finalizzate ad evitare situazioni di pericolo o danni a persone o cose.Presso il Dipartimento della Protezione Civile vengono istituiti la Commissione Nazionale per la Previsione e la Prevenzione dei Grandi Rischi, che svolge attività di consulenza tecnico-scientifica in materia di previsione e prevenzione, e il Comitato Operativo della Protezione Civile. Vengono definite le Componenti e le Strutture Operative del Servizio Nazionale della Protezione Civile.Il Servizio Nazionale riconosce le iniziative di volontariato civile e ne assicura il coordinamento. La Legge 225 inserisce il volontariato tra le componenti e le strutture operative del Servizio Nazionale e stabilisce che deve essere assicurata la più ampia partecipazione dei cittadini e delle organizzazioni di volontariato di protezione civile nelle attività di previsione, prevenzione e soccorso, in vista o in occasione di calamità naturali o catastrofi.Storicamente la Legge 225 rappresenta un momento di passaggio tra la fase accentrata e decentrata: le competenze operative rimangono in capo all’amministrazione centrale e periferica dello Stato, ma per la prima volta aumenta notevolmente il peso delle Regioni, delle Province e dei Comuni, soprattutto per quanto riguarda la previsione e la prevenzione.

Dalla nascita del Servizio Nazionale della Protezione Civile al Codice

24 febbraio 1992. Con la legge n. 225 nasce il Servizio Nazionale della Protezione Civile che ha il compito di “tutelare l’integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e altri eventi calamitosi”.
26 settembre 1997. Una scossa di magnitudo 5.5 colpisce l’Italia centrale. È l’inizio di una sequenza sismica che interessa per mesi l’Umbria e le Marche, con notevoli danni e perdite al patrimonio storico-artistico.
31 marzo 1998. Il Decreto Legislativo n. 112 ridetermina l’assetto della protezione civile, che viene considerata materia a competenza mista: alle Regioni e agli Enti locali vengono affidate tutte le funzioni ad esclusione dei “compiti di rilievo nazionale del Sistema di Protezione Civile”.
5 maggio 1998. L’emergenza di Sarno determina un decisivo cambiamento nell’approccio al rischio idrogeologico, che porterà a un potenziamento delle attività di monitoraggio e sorveglianza.
30 luglio 1999. Con il Decreto Legislativo n. 300 le funzioni del Dipartimento vengono trasferite all’Agenzia di Protezione Civile, sottoposta alla vigilanza del Ministero dell’Interno.
Le leggi del 2001 e del 2005 ripristinano il Dipartimento della Protezione Civile nell’ambito della Presidenza del Consiglio attribuendogli, tra le competenze, anche i grandi eventi e le emergenze all’estero.
6 aprile 2009. Una scossa di magnitudo 6.3 colpisce il territorio aquilano e abruzzese: è la prima volta, dopo la catastrofe sismica calabro-messinese del 1908, che una città è così duramente colpita da un terremoto.
20 e 29 maggio 2012. Le scosse colpiscono il Nord Italia compromettendo in modo particolare le attività produttive e i beni culturali.
12 luglio 2012. La Legge n. 100 riforma il Servizio Nazionale a vent’anni dalla sua nascita.
24 agosto 2016. Una scossa di magnitudo 6.0 colpisce Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria. Migliaia le persone coinvolte nell’evento che ha gravi conseguenze in termini di vittime, feriti e danni sul territorio.
2 gennaio 2018. Il Decreto legislativo n. 1 ribadisce un modello di Servizio Nazionale policentrico e punta a garantire una operatività lineare, efficace e tempestiva.

La protezione civile nella storia: dal 1861 al 1982

Il concetto di protezione civile – come espressione di solidarietà, spirito di collaborazione e senso civico – ha radici lontane. La storia del nostro Paese, infatti, racconta di organizzazioni solidaristiche e di volontariato impegnate a portare aiuto in caso di emergenza già con gli ordini religiosi medievali. La necessità di soccorrere e assistere la popolazione colpita rappresenta quindi la prima spontanea espressione di protezione civile in Italia. Tuttavia è proprio l’esperienza maturata nella gestione delle emergenze a rendere chiaro, nel tempo, che per una efficace azione di tutela della vita e dell’ambiente sono necessari un maggior coordinamento di tutte le forze in campo e un impegno non solo centrato sulla fase dell’intervento. Da questa consapevolezza nasce la protezione civile così come la conosciamo oggi: un sistema coordinato di competenze in grado non soltanto di agire e reagire in caso di emergenza, ma anche di mettere in campo azioni mirate di previsione e prevenzione dei rischi. Prima dell’Unità d’Italia l’organizzazione dei soccorsi è differenziata stato per stato. In occasione di grandi emergenze (terremoto della Val di Noto – 1693, terremoto in Calabria – 1783) le autorità centrali nominano un commissario con poteri eccezionali. A livello legislativo, esistono già delle norme antisismiche nello Stato Pontifico, nel Regno delle Due Sicilie e nel Ducato di Mantova, dove viene progettata la prima casa antisismica del mondo occidentale, ad opera di Pirro Logorio. Aggirandosi tra le rovine di Ferrara, colpita dal terremoto nel 1570, l’architetto è il primo rendersi conto di quanto sia importante costruire edifici solidi e ad affrontare il tema della sicurezza abitativa.Con l’Italia unita entra in vigore lo Statuto Albertino, adottato dal Regno di Sardegna nel 1848. Per la loro natura geologica Piemonte e Sardegna non sono regioni sismiche, di conseguenza, in tutti gli stati annessi al Piemonte vengono abolite le norme relative alle prescrizioni edilizie antisismiche. Rimane, nel nuovo ordinamento unitario, la “tradizione” ingegneristica idraulica sviluppatasi nei territori del nord per il controllo dei fiumi. Dare aiuto e soccorrere le popolazioni sinistrate non è compito prioritario dello Stato: il soccorso rientra nel concetto di generosità pubblica e gli interventi dei militari, che da sempre rappresentano l’ossatura dei soccorsi, vengono considerati opere di beneficenza. Durante l’alluvione di Roma del dicembre 1870, i primi a offrire soccorso sono le truppe dell’esercito che due mesi prima avevano conquistato la città (Breccia di Porta Pia). Il quadro legislativo post unitario è frammentario e poco organico, limitandosi a prevedere interventi in seguito a particolari contingenze e calamità o per specifiche materie. Tutti i provvedimenti urgenti adottati per fronteggiare le emergenze nell’immediato trovano il loro fondamento normativo nel potere d’ordinanza concesso all’autorità amministrativa dalla Legge n. 2359 del 25 giugno 1865. Prefetti e sindaci possono disporre della proprietà privata in caso rottura degli argini, di rovesciamento di ponti e in generale in tutti i casi di emergenza. In generale, al verificarsi di un’emergenza vengono mobilitati Esercito e Forze dell’ordine, i primi ad accorrere sul luogo del disastro. L’iter di gestione delle emergenze è rigido e codificato e comincia solo nel momento in cui la notizia del disastro arriva ufficialmente sul tavolo del Presidente del Consiglio, che svolge anche funzioni di Ministro dell’Interno. Il dispaccio parte dalla fitta rete di prefetture presenti sul territorio e può arrivare dopo poche ore, giorni, ma anche dopo settimane dall’evento. Le emergenze vengono considerate nazionali solo se colpiscono obiettivi strategici per la viabilità e le strutture di pubblica utilità. Valutata la portata dell’evento, scatta la mobilitazione dei Ministro dell’Interno e della Guerra, che fa accorrere i reparti più vicini della zona colpita. In maniera spontanea e non coordinata si attivano anche soccorritori volontari, enti religiosi e associazioni che affiancano il lavoro dei militari. Nel 1906 vengono emanate alcune disposizioni particolari sulle eruzioni vulcaniche, la difesa degli abitanti e delle strade dalle frane, le alluvioni, le mareggiate e gli uragani. Nel 1908, dopo il disastroso terremoto di Messina, viene introdotta la classificazione antisismica del territorio ed entra in vigore la prima normativa antisismica.

Dall’Unità d’Italia alla nascita del Dipartimento della Protezione Civile

Nel Regno d’Italia appena costituito, come già detto, soccorrere le popolazioni colpite da un’emergenza non è compito prioritario dello Stato: gli interventi sono principalmente affidati ai militari e considerati opere di beneficenza. Anche durante l’alluvione di Roma nel dicembre del 1870, a offrire i primi soccorsi sono le truppe dell’esercito che due mesi prima avevano conquistato la città con la Breccia di Porta Pia. Nello specifico, si ricordano questi eventi riportati di seguito:
8 dicembre 1908.Una scossa di magnitudo 7.2 colpisce la Sicilia orientale e la Calabria meridionale. La scossa è seguita da un devastante maremoto che travolge le coste dello Stretto aggravando le distruzioni del terremoto e causando ulteriori vittime tra le persone scampate ai crolli. L’evento rappresenta una delle più gravi catastrofi verificatesi in Italia.
13 gennaio 1915. Una scossa di magnitudo 7 colpisce il Centro Italia con epicentro nella Piana del Fucino, in Abruzzo. Il terremoto della Marsica rappresenta uno dei terremoti più violenti che la storia italiana ricordi, per l’estensione dell’area colpita, il numero delle vittime, dei feriti e dei senzatetto.
2 settembre 1919. Il Regio Decreto-Legge n. 1915 fornisce un primo assetto normativo al soccorso in caso di terremoti. Il provvedimento individua nel Ministero dei Lavori Pubblici l’autorità responsabile della direzione e del coordinamento.
23 luglio 1930. Una scossa di magnitudo 6.7 colpisce una vasta area dell’Italia meridionale compresa tra l’alta Irpinia e la zona del Vulture. Gravi e diffusi i danni, causati soprattutto dalle caratteristiche dei terreni e dalla fragilità del patrimonio abitativo.
4 novembre 1966. A seguito di un’eccezionale ondata di maltempo, l’Arno esonda e allaga Firenze. Molti quartieri, compreso il centro storico, finiscono sott’acqua. Nei primi giorni, gli aiuti arrivano quasi esclusivamente dagli “angeli del fango” e dalle truppe di stanza in città. 
14 gennaio 1968. Un terremoto di magnitudo 6.4 devasta la Valle del Belice, in Sicilia. La gestione dell’emergenza si rivela fallimentare per la mancanza di coordinamento tra le forze in campo. La ricostruzione sarà molto lunga, con i centri abitati riedificati in luoghi distanti da quelli colpiti dal terremoto.
8 dicembre 1970. La Legge n. 996 definisce il concetto di “protezione civile” privilegiando il momento dell’emergenza, cioè del soccorso da attuare nell’immediatezza dell’evento. Attribuisce inoltre un ruolo centrale al Ministero dell’Interno che, in caso di catastrofe, assume la direzione e il coordinamento degli interventi.
6 maggio 1976. Un terremoto di magnitudo 6.4 colpisce duramente il Friuli e in particolare la media valle del Fiume Tagliamento. Nelle ore che seguono la scossa, il Governo affida la direzione delle operazioni di soccorso al Commissario straordinario Giuseppe Zamberletti.
23 novembre 1980. Un terremoto di magnitudo 6.9 colpisce una vasta area della Campania, della Basilicata e marginalmente della Puglia. Il Presidente Pertini denuncia il ritardo dei soccorsi e le gravi mancanze nell’azione dello Stato.
10 giugno 1981. Il piccolo Alfredo Rampi cade in un pozzo artesiano a Vermicino, nelle vicinanze di Roma. Tutta l’Italia si ferma per seguire i drammatici tentativi di soccorso.
29 aprile 1982. Con Ordine di Servizio viene istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Dipartimento della Protezione Civile. Nello stesso anno, la Legge n. 996 formalizza la figura del Ministro per il Coordinamento della Protezione Civile.

Rete di monitoraggio e dati meteo-idrometrici

Il Centro Funzionale Decentrato svolge attività di raccolta, concentrazione, elaborazione, archiviazione, validazione e pubblicazione dei dati rilevati sul territorio regionale attraverso la rete meteo-idrometrica di monitoraggio di proprietà, competenze ereditate dall’Ufficio Idrografico e Mareografico di Bari per i bacini con foce al litorale adriatico e jonico, dal Candelaro al Lato.
La rete di monitoraggio in telemisura, in grado di acquisire in tempo reale misure termo-pluviometriche e dati anemometrici, idrometrici, di radiazione solare e umidità relativa con frequenza semi-oraria, è attualmente costituita da:

  • 163 pluviometri (per misurare la quantità di pioggia);
  • 39 idrometri (per monitorare il livello dei fiumi);
  • 157 termometri (per misurare la temperatura);
  • 26 anemometri (per misurare l’intensità e la direzione del vento);
  • 74 igrometri (per misurare l’umidità relativa dell’aria);
  • 8 radiometri (per la misura dell’irraggiamento solare).
  • Le stazioni idrometriche e pluviometriche distribuite sul territorio regionale consentono: i) nel caso di evento in atto, di predisporre analisi di tipo semi-quantitativo e avviare la modellistica per valutare la risposta idrologica e idraulica dei bacini idrografici della Puglia; ii) nel tempo differito la descrizione meteo-idrometrica dell’evento e la pubblicazione di un rapporto d’evento.

Relativamente alla rete di monitoraggio, il CFD ne assicura il potenziamento, l’aggiornamento tecnologico, il funzionamento, il controllo dell’affidabilità dei dati misurati e la manutenzione ordinaria e straordinaria.
I dati rilevati sul territorio regionale attraverso la rete meteo-idrometrica di monitoraggio di proprietà, appositamente elaborati ed aggregati, vengono pubblicati sugli Annali idrologici Parte I e Parte II. I dati pluviometrici, termometrici, meteorologici e idrologici non ancora pubblicati sugli Annali sono resi disponibili al pubblico esterno, su richiesta, a titolo oneroso per i privati, gratuitamente per Enti pubblici, Centri di ricerca e Università. Il Centro Funzionale Decentrato rende disponibili all’utenza anche altre tipologie di dati diverse da quelle pubblicate sugli Annali, ma solo a seguito di una richiesta specifica.
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