Un anno fa la frana di Ischia

Era il 26 novembre del 2022 quando una frana devastante colpì Ischia. Le vittime furono dodici. Oggi Nello Musumeci, ministro per la Protezione civile, è nell’isola campana. Quella mattina del 26 novembre, dopo che per sei ore nuvole basse e cariche di piogge scaricarono quasi 130 millimetri di acqua sul versante nord orientale dell’Epomeo, dalla montagna si staccò una fronte franoso di centinaia di migliaia di metri cubi di fango, acqua e detriti di ogni genere che per l’elevata pendenza scese a valle velocissimo cancellando tutto quello che incontrava sul suo cammino devastando diverse zone del comune termale isolano.
    Il prezzo pagato fu altissimo: 12 morti (tra cui due bambini ed un neonato) al Celario, zona collinare di Casamicciola, decine di abitazioni inagibili e parecchie centinaia di sfollati: nei giorni successivi all’evento arrivarono a 1.500 per poi scendere ai circa 360 attuali e senza contare gli oltre 60 veicoli distrutti, i negozi e gli alberghi allagati, il porto insabbiato e le altre frane di minore entità che si abbatterono in altre parti dell’isola.
    Dodici mesi dopo Casamicciola si è rimessa in moto anche se resta ancora tanto da fare, per la messa in sicurezza e la ripartenza turistica ed economica: il porto è stato dragato e riaperto, gli alvei alluvionali ripuliti, installato un sistema di monitoraggio ed alert attivo 24 ore al giorno in grado di dare l’allarme in caso di maxi precipitazioni e complessivamente è stato realizzato il 40% degli interventi di somma urgenza, col resto già finanziato ed in fase di attuazione.
    Per neutralizzare il rischio idrogeologico serviranno ancora interventi strutturali, che costeranno 138 milioni (di cui 60 sono stati coperti) ed altri 177 dovranno essere spesi per eliminarlo da tutta l’isola.
    Saranno necessarie dunque risorse ed interventi importanti per mettere l’isola verde al riparo dalle calamità naturali e per ridare una casa ai cittadini che l’hanno dovuta lasciare dopo l’alluvione, di cui attualmente 112 sono ancora in albergo.
    Per domenica, primo anniversario della alluvione, il Comune ha organizzato una cerimonia di commemorazione solenne a cui parteciperanno il ministro per la Protezione Civile Nello Musumeci ed il capo Dipartimento Fabrizio Curcio, cui seguirà la consegna di encomi e ringraziamenti a forze dell’ordine, volontari ed associazioni che hanno prestato soccorsi ed assistenza dopo la frana. Molti cantieri sono stati avviati e conclusi, molti sono in corso, molti altri ancora saranno avviati dopo aver completato le fasi di progettazione. Poi dovrà iniziare la fase della messa in sicurezza strutturale del territorio, insieme alla ricostruzione degli edifici pubblici e privati e alla necessità di favorire interventi di rigenerazione urbana mediante la riduzione del consumo del suolo, dando priorità alla sicurezza del territorio e degli edifici e per la sostenibilità del processo ricostruttivo”.

Rischio sismico

La Terra è un sistema dinamico e in continua evoluzione, composto al suo interno da rocce disomogenee per pressione e temperatura cui sono sottoposte, densità e caratteristiche dei materiali. Questa elevata disomogeneità interna provoca lo sviluppo di forze negli strati più superficiali, che tendono a riequilibrare il sistema spingendo le masse rocciose le une contro le altre, deformandole.I terremoti sono un’espressione e una conseguenza di questa continua evoluzione, che avviene in centinaia di migliaia e, in alcuni casi, di milioni di anni. Il terremoto si manifesta come un rapido e violento scuotimento del terreno e avviene in modo inaspettato, senza preavviso. All’interno della Terra sono sede di attività sismica solo gli strati più superficiali, crosta e mantello superiore. L’involucro solido della superficie del pianeta, la litosfera, è composto da placche, o zolle, che si spostano, si urtano, si incuneano e premono le une contro le altre. I movimenti delle zolle determinano in profondità condizioni di sforzo e di accumulo di energia. Quando lo sforzo supera il limite di resistenza, le rocce si rompono formando profonde spaccature dette faglie, l’energia accumulata si libera e avviene il terremoto. L’energia liberata viaggia attraverso la terra sotto forma di onde che, giunte in superficie, si manifestano come movimenti rapidi del terreno che investono le persone, le costruzioni e il territorio. Un terremoto, soprattutto se forte, è caratterizzato da una sequenza di scosse chiamate periodo sismico, che talvolta precedono e quasi sempre seguono la scossa principale. Le oscillazioni provocate dal passaggio delle onde sismiche determinano spinte orizzontali sulle costruzioni e causano gravi danni o addirittura il crollo, se gli edifici non sono costruiti con criteri antisismici. Il terremoto genera inoltre effetti indotti o secondari, come frane, maremoti, liquefazione dei terreni, incendi, a volte più dannosi dello scuotimento stesso. A parità di distanza dalla faglia in cui si è generato il terremoto (ipocentro), lo scuotimento degli edifici dipende dalle condizioni locali del territorio, in particolare dal tipo di terreni in superficie e dalla forma del paesaggio. Per definire la forza di un terremotosono utilizzate due grandezze differenti: la magnitudo e l’intensità macrosismica. La magnitudo è l’unità di misura che permette di esprimere l’energia rilasciata dal terremoto attraverso un valore numerico della scala Richter. L’intensità macrosismica è l’unità di misura degli effetti provocati da un terremoto, espressa con i gradi della scala Mercalli. Per calcolare la magnitudo è necessario registrare il terremoto con un sismografo, uno strumento che registra le oscillazioni del terreno durante una scossa sismica anche a grandissima distanza dall’ipocentro. L’intensità macrosismica, invece, viene attribuita in ciascun luogo in cui si è risentito il terremoto, dopo averne osservato gli effetti sull’uomo, sulle costruzioni e sull’ambiente. Sono quindi grandezze diverse e non confrontabili. Per ridurre gli effetti del terremoto, l’azione dello Stato si è concentrata sulla classificazione del territorio, in base all’intensità e frequenza dei terremoti del passato, e sull’applicazione di speciali norme per le costruzioni nelle zone classificate sismiche.
La legislazione antisismica italiana, allineata alle più moderne normative a livello internazionale prescrive norme tecniche in base alle quali un edificio debba sopportare senza gravi danni i terremoti meno forti e senza crollare i terremoti più forti, salvaguardando prima di tutto le vite umane. Sino al 2003 il territorio nazionale era classificato in tre categorie sismiche a diversa severità. I Decreti Ministeriali emanati dal Ministero dei Lavori Pubblici tra il 1981 ed il 1984 avevano classificato complessivamente 2.965 comuni italiani su di un totale di 8.102, che corrispondono al 45% della superficie del territorio nazionale, nel quale risiede il 40% della popolazione.
Nel 2003 sono stati emanati i criteri di nuova classificazione sismica del territorio nazionale, basati sugli studi e le elaborazioni più recenti relative alla pericolosità sismica del territorio, ossia sull’analisi della probabilità che il territorio venga interessato in un certo intervallo di tempo (generalmente 50 anni) da un evento che superi una determinata soglia di intensità o magnitudo.
A tal fine è stata pubblicata l’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20 marzo 2003, sulla Gazzetta Ufficiale n. 105 dell’8 maggio 2003.Il provvedimento detta i principi generali sulla base dei quali le Regioni, a cui lo Stato ha delegato l’adozione della classificazione sismica del territorio (Decreto Legislativo n. 112 del 1998 e Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 – “Testo Unico delle Norme per l’Edilizia”), hanno compilato l’elenco dei comuni con la relativa attribuzione ad una delle quattro zone, a pericolosità decrescente, nelle quali è stato riclassificato il territorio nazionale.

  • Zona 1 – E’ la zona più pericolosa. La probabilità che capiti un forte terremoto è alta
  • Zona 2 – In questa zona forti terremoti sono possibili
  • Zona 3 – In questa zona i forti terremoti sono meno probabili rispetto alla zona 1 e 2
  • Zona 4 – E’ la zona meno pericolosa: la probabilità che capiti un terremoto è molto bassa

Di fatto, sparisce il territorio “non classificato”, e viene introdotta la zona 4, nella quale è facoltà delle Regioni prescrivere l’obbligo della progettazione antisismica. A ciascuna zona, inoltre, viene attribuito un valore dell’azione sismica utile per la progettazione, espresso in termini di accelerazione massima su roccia (zona 1=0.35 g, zona 2=0.25 g. zona 3=0.15 g, zona 4=0.05 g). L’attuazione dell’ordinanza n.3274 del 2003 ha permesso di ridurre notevolmente la distanza fra la conoscenza scientifica consolidata e la sua traduzione in strumenti normativi e ha portato a progettare e realizzare costruzioni nuove, più sicure ed aperte all’uso di tecnologie innovative. Le novità introdotte con l’ordinanza sono state pienamente recepite e ulteriormente affinate, grazie anche agli studi svolti dai centri di competenza (Ingv, Reluis, Eucentre). Un aggiornamento dello studio di pericolosità di riferimento nazionale (Gruppo di Lavoro, 2004), previsto dall’opcm 3274/03, è stato adottato con l’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3519 del 28 aprile 2006.
Il nuovo studio di pericolosità, allegato all’Opcm n. 3519, ha fornito alle Regioni uno strumento aggiornato per la classificazione del proprio territorio, introducendo degli intervalli di accelerazione (ag), con probabilità di superamento pari al 10% in 50 anni, da attribuire alle 4 zone sismiche. Nel rispetto degli indirizzi e criteri stabiliti a livello nazionale, alcune Regioni hanno classificato il territorio nelle quattro zone proposte, altre Regioni hanno classificato diversamente il proprio territorio, ad esempio adottando solo tre zone (zona 1, 2 e 3) e introducendo, in alcuni casi, delle sottozone per meglio adattare le norme alle caratteristiche di sismicità.
Per il dettaglio e significato delle zonazioni di ciascuna Regione, si rimanda alle disposizioni normative regionali.
Qualunque sia stata la scelta regionale, a ciascuna zona o sottozone è attribuito un valore di pericolosità di base, espressa in termini di accelerazione massima su suolo rigido (ag). Tale valore di pericolosità di base non ha però influenza sulla progettazione. Le attuali Norme Tecniche per le Costruzioni (Decreto Ministeriale del 14 gennaio 2008), infatti, hanno modificato il ruolo che la classificazione sismica aveva ai fini progettuali: per ciascuna zona – e quindi territorio comunale – precedentemente veniva fornito un valore di accelerazione di picco e quindi di spettro di risposta elastico da utilizzare per il calcolo delle azioni sismiche.
Dal 1 luglio 2009 con l’entrata in vigore delle Norme Tecniche per le Costruzioni del 2008, per ogni costruzione ci si deve riferire ad una accelerazione di riferimento “propria” individuata sulla base delle coordinate geografiche dell’area di progetto e in funzione della vita nominale dell’opera. Un valore di pericolosità di base, dunque, definito per ogni punto del territorio nazionale, su una maglia quadrata di 5 km di lato, indipendentemente dai confini amministrativi comunali.
La classificazione sismica (zona sismica di appartenenza del comune) rimane utile solo per la gestione della pianificazione e per il controllo del territorio da parte degli enti preposti (Regione, Genio civile, ecc.).

Lotta al bullismo

Il bullismo è una forma di comportamento sociale di tipo violento e intenzionale, di natura sia fisica che psicologica, oppressivo e vessatorio, ripetuto nel corso del tempo e attuato nei confronti di persone considerate dal soggetto che perpetra l’atto in questione come bersagli facili e/o incapaci di difendersi. I comportamenti che si configurano come manifestazioni di bullismo sono vari, e vanno dall’offesa alla minaccia, all’esclusione dal gruppo, alla maldicenza, dall’appropriazione indebita di oggetti fino a picchiare o costringere la vittima a fare qualcosa contro la propria volontà. Esiste un’altra forma di bullismo, il cyberbullismo, che definisce un insieme di azioni aggressive e intenzionali, di una singola persona o di un gruppo, realizzate mediante strumenti elettronici (sms, mms, foto, video, email, chatt rooms, istant messaging, siti web, telefonate), il cui obiettivo è quello di provocare danni ad un coetaneo incapace a difendersi. Le cause alla base del fenomeno del bullismo sono plurime e riconducibili ad una serie di fattori individuali e di dinamiche di gruppo come per esempio il temperamento del bambino, i modelli familiari, gli stereotipi imposti dai mass media o l’educazione impartita dai genitori o da istituzioni scolastiche spesso disattente alle relazioni fra alunni e ad altre variabili collegate all’ambito scolastico e all’ambiente sociale. I modelli educativi genitoriali hanno un ruolo fondamentale tra le possibili cause del bullismo sia che siano eccessivamente severi, sia che siano troppo permissivi. Se, infatti, si ricorre eccessivamente all’uso di punizioni fisiche il bambino percepirà che la violenza come l’unico mezzo per fare rispettare le proprie regole. Se, invece, si lascia un’eccessiva libertà ai propri figli, non percependo i limiti oltre i quali i comportamenti non sono più consentiti, essi agiscono di conseguenza in maniera prepotente e prevaricatrice. Esistono due tipi di bulli: quelli che sono a loro volta vittime di violenza in famiglia o in altri contesti e quelli che mancano di empatia verso gli altri. Solitamente i bulli vittime a loro volta di bullismo sono più aggressivi, meno popolari e provengono da famiglie con un basso status socio economico. Hanno una bassa considerazione di sé cui cercano di rimediare attraverso gli atti di bullismo. I bulli che non subiscono bullismo a loro volta, a differenza dei primi, hanno una considerazione e una stima anche fin troppo alta di sé e ciò li legittima a prendere il sopravvento sugli altri. Provengono da famiglie con una buona condizione economica e coniugano il bullismo con il tentativo di accrescere la loro popolarità. Una delle teorie psicologiche riguardanti il bullismo è che questo problema sia da riconnettere a un deficit socio-relazionale, collegato all’incapacità del bullo di accettare, vivere e gestire i conflitti. In poche parole, il bullo, poiché incapace di relazionarsi e ancora peggio litigare, usa la violenza per controllare i suoi coetanei. Il bullismo può essere combattuto se vittime, famiglie, scuola e coloro che assistono agli episodi collaborano tra loro. Una prima indicazione da tener presente per intervenire efficacemente in queste situazioni è capire se si tratta effettivamente di cyberbullismo o di altra tipologia di comportamenti disfunzionali. Oltre al contesto, altri elementi utili ad effettuare questa valutazione sono le modalità in cui avvengono e l’età delle persone coinvolte. Una seconda indicazione operativa concerne una valutazione circa l’eventuale stato di disagio vissuto dalla/e persona/e minorenne/i coinvolte per cui potrebbe essere necessario rivolgersi ad un servizio deputato ad offrire un supporto psicologico e/o di mediazione. Le strutture pubbliche a cui rivolgersi sono i servizi socio-sanitari del territorio di appartenenza (ad esempio: spazio adolescenti, se presente, del Consultorio Familiare, servizi di Neuropsichiatria Infantile, centri specializzati sulla valutazione o l’intervento sul bullismo o in generale sul disagio giovanile, i comportamenti a rischio in adolescenza, etc.). Parallelamente, nel caso in cui si ipotizzi che ci si possa trovare di fronte ad una fattispecie di reato (come ad esempio il furto di identità o la persistenza di una condotta persecutoria che mette seriamente a rischio il benessere psicofisico del bambino/a o adolescente coinvolto/a in qualità di vittima) si potrà far riferimento agli uffici preposti delle Forze di Polizia per inoltrare la segnalazione o denuncia/querela e permettere alle autorità competenti l’approfondimento della situazione da un punto di vista investigativo. E’ in tal senso possibile far riferimento a queste tipologie di uffici: Polizia di Stato – Compartimento di Polizia postale e delle Comunicazioni; Polizia di Stato – Questura o Commissariato di P.S. del territorio di competenza; Arma dei Carabinieri – Comando Provinciale o Stazione del territorio di competenza. Anche un rapporto conflittuale o assente tra scuola e famiglia può causare il bullismo e, soprattutto in Italia, si verificano sempre più casi di genitori che contestano al professore una nota, un brutto voto o una punizione nei confronti del figlio, delegittimando la scuola dal suo dovere di insegnamento ed educazione. Un altro fattore che incoraggia il bullismo è la mancanza di sorveglianza. Molte vittime pensano di non avere nessuno a cui rivolgersi per ricevere aiuto. Inoltre, sono convinte che se chiedessero aiuto peggiorerebbero solo le cose. Pertanto molti ragazzi trascorrono gli anni della scuola in uno stato costante di ansia e insicurezza. Ci sono poi altre cause come la mancanza di regole, la noia sociale, la mancanza di stimoli, l’insoddisfazione, la monotonia, il “fascino del potere”, l’appartenenza a un branco, il piacere di far soffrire, l’invidia, l’intolleranza nei confronti del diverso, la mancanza di empatia e molte altre. Secondo le ricerche, il 28% dei giovani tra i sei e i dodici anni sono stati vittime del bullismo. La maggior parte degli episodi di violenza e bullismo nelle scuole si svolge nelle aree meno sorvegliate dagli adulti. Chi assiste ad un episodio di bullismo tende a non reagire e ad assecondare il bullo, per non diventarne vittima. È emerso che i ragazzi tendono a praticare le aggressioni fisiche, mentre le ragazze quelle psicologiche. Il dato più allarmante è che sono in aumento i casi di bullismo nella scuola dell’infanzia con un significativo abbassamento della soglia d’età di bulli e vittime. Spesso gli insegnanti sottovalutano il fenomeno del bullismo nelle scuole, mentre i genitori sono consapevoli che loro figlio ne è vittima solo la metà delle volte. Chiunque può diventare vittima di bullismo. Di solito gli unici requisiti sono avere una caratteristica, fisica o di altra natura, “fuori dal comune” ed essere vulnerabili e incapaci di reagire. Rientrano quindi tra le vittime di bullismo, i ragazzi di razza o etnia diversa, quelli che hanno un problema di apprendimento o handicap o i ragazzi omosessuali. Ma non solo. Appartenere a un ceto sociale basso, essere troppo grassi o troppo magri, avere una caratteristica fisica particolare, perfino essere bravi a scuola. In poche parole, diventano vittima di bullismo tutti coloro che escono fuori dagli standard. Chi è vittima di bullismo deve trovare il coraggio di parlarne con un adulto, genitore o insegnante. Solo in questo modo il corpo docente può intervenire nel modo più opportuno. Chi assiste a fenomeni di bullismo avrebbe il dovere morale di prendere posizione contro il bullo, anche se questo non è sempre facile. Tuttavia, se ci sono altri “spettatori”, tutti potrebbero essere coinvolti nel manifestare la propria disapprovazione. In ogni caso, è sempre possibile segnalare il problema ad un docente per chiedere un intervento. Anche i genitori hanno un ruolo dovrebbero avere più dialogo con i figli su questo tema e imparare ad ascoltare senza minimizzare il problema. Una volta avute le idee chiare sull’entità del problema, la cosa migliore da fare è informare la scuola e gli altri genitori. Le scuole potrebbero adottare delle efficaci misure anti-bullismo, per esempio, installando più telecamere nelle zone meno sorvegliate. Possono incrementare la sensibilizzazione nelle classi, parlando del problema e spiegando le misure antibullismo adottate. In ogni istituto tra i professori sarà individuato un referente per le iniziative contro il bullismo e il cyberbullismo. Al preside spetterà informare subito le famiglie dei minori coinvolti in atti di bullismo e, se necessario, convocare tutti gli interessati per adottare misure di assistenza alla vittima e sanzioni e percorsi rieducativi per l’autore. Più in generale, il Miur ha il compito di predisporre linee di orientamento di prevenzione e contrasto puntando, tra l’altro, sulla formazione del personale scolastico e la promozione di un ruolo attivo degli studenti, mentre ai singoli istituti è demandata l’educazione alla legalità e all’uso consapevole di internet. Alle iniziative in ambito scolastico collaboreranno anche polizia postale e associazioni territoriali. 
Il dirigente scolastico che venga a conoscenza di atti di cyberbullismo (salvo che il fatto costituisca reato) deve informare tempestivamente i soggetti che esercitano la responsabilità genitoriale o i tutori dei minori coinvolti e attivare adeguate azioni di carattere educativo.

Terremoto Campania: scossa ai Campi Flegrei

Dopo diverse settimane di attività meno intensa rispetto a quanto non si stava vedendo, nella serata di oggi si è verificata una nuova scossa di bradisismo nell’area flegrea. L’evento principale è avvenuto alle 19.41, preceduto da una scossa d’intensità decisamente minore alle 19.27. Entrambi hanno avuto epicentro nella zona della Solfatara, entrambi a 3 km di profondità. Il terremoto delle 19.27 risulta di magnitudo 1.3 della scala Richter, quello delle 19.41 di magnitudo 3.1. Una delle più alte registrate nell’ultimo periodo. “A seguito dell’evento sismico registrato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia in provincia di Napoli, con epicentro localizzato in area flegrea, con magnitudo ML 3.1, la Sala Situazione Italia del Dipartimento della Protezione Civile si è messa in contatto con le strutture locali del Servizio nazionale della Protezione Civile. Dalle prime verifiche effettuate in seguito all’evento non risulterebbero danni a persone o cose“, si legge in una nota stampa del Dipartimento della Protezione Civile.

Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne

Ogni anno, il 25 novembre, si celebra in tutto il mondo la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, un fenomeno che purtroppo è cronaca quotidiana e non accenna a diminuire.  La data fu scelta da un gruppo di donne attiviste riunitesi nell’Incontro Femminista Latinoamericano e dei Caraibi, tenutosi a Bogotà nel 1981, Assemblea Generale dell’ONU poi ha ufficializzato questa data. Il 25 novembre del 1960 le tre sorelle Mirabal, mentre si recavano a far visita ai loro mariti in prigione, furono bloccate sulla strada da agenti del Servizio di informazione militare. Condotte in un luogo nascosto nelle vicinanze furono violentate, torturate, massacrate a colpi di bastone e strangolate, per poi essere gettate in un precipizio, a bordo della loro auto, per simulare un incidente. Sono considerate esempio di donne rivoluzionarie per l’impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leónidas Trujillo, il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nell’arretratezza e nel caos per oltre 30 anni. La violenza contro donne e ragazze (VAWG) rappresenta una delle violazioni dei diritti umani più diffuse, persistenti e devastanti che, ad oggi, non viene denunciata a causa dell’impunità, del silenzio, della stigmatizzazione e della vergogna che la caratterizzano. Questo tipo di violenza può manifestarsi in modi diversi, ad esempio come violenza fisica, sessuale e psicologica, che comprende:

  • violenza del partner in situazioni di intimità (maltrattamenti, abusi psicologici, stupri coniugali, femminicidio)
  • violenza e molestie sessuali (stupro, atti sessuali forzati, avance sessuali indesiderate, abusi sessuali su minori, matrimonio forzato, molestie di strada, stalking, molestie informatiche)
  • traffico di esseri umani (schiavitù, sfruttamento sessuale)
  • mutilazione genitale femminile
  • matrimonio infantile

Secondo l’Articolo 1 della Dichiarazione sull’Eliminazione della Violenza contro le Donne, emanata dall’Assemblea Generale nel 1993, la violenza contro le donne è “ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata”.Le conseguenze negative per la salute psicologica, sessuale e riproduttiva della VAWG colpiscono le donne in ogni momento della loro vita. Per esempio, gli squilibri precoci legati all’istruzione non solo rappresentano un ostacolo primario alla scolarizzazione universale e al diritto dell’educazione per le ragazze e le bambine; ma in futuro limiteranno anche l’accesso all’istruzione superiore e ridurranno inoltre le opportunità per le donne nel mercato del lavoro. Sebbene la violenza di genere possa accadere a chiunque, ovunque; alcune donne e ragazze sono particolarmente vulnerabili – per esempio, le ragazze giovani e le donne anziane, coloro che si identificano come omosessuali, bisessuali, transgender o intersessuali, migranti e rifugiati, donne indigene e minoranze etniche, o donne e ragazze che vivono con l’HIV e le disabilità, e quelle che attraversano le crisi umanitarie.
La violenza contro le donne continua ad essere un ostacolo allo sviluppo, alla pace così come alla realizzazione dei diritti umani delle donne e delle ragazze per il raggiungimento dell’uguaglianza. Si può affermare che la promessa degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) – di non lasciare nessuno indietro – non può essere mantenuta senza porre fine alla violenza contro le donne e le ragazze. Quest’anno il tema dedicato alla giornata è Colora il Mondo di “Arancione: Finanziare, Rispondere, Prevenire, Raccogliere”. Il tema della campagna UNITE 2020, promosso da UN Women, prevede 16 giornate di attività, dal 25 novembre al 10 dicembre. Mentre la popolazione mondiale e’ chiusa  nelle proprie case, a causa delle restrizioni dovute alla pandemia di Covid-19, gli studi a livello globale mostrano un allarmante aumento della già esistente pandemia di violenza contro le donne. “Con la crisi c’è stato un picco nella segnalazione della violenza domestica, proprio nel momento in cui i servizi, legali, sanitari e sociali hanno deviato l’attenzione per affrontare la pandemia”, dichiara il rapporto Responsabilità condivisa, Solidarietà globale: Rispondere agli impatti socio-economici di Covid-19del Segretario Generale delle Nazioni Unite. La campagna di 16 giornate intende esortare a prevenire ed eliminare la violenza contro le donne. 

Aggiornamento guerra Ucraina

La guerra in Ucraina è giunta al 638esimo giorno. Intervenuto in videoconferenza al G20, dove era presente anche la premier Giorgia Meloni, il presidente russo Vladimir Putin ha ammesso che la battaglia in Ucraina è una tragedia e occorre pensare a come “mettervi fine“. Ma nonostante ciò il capo di Stato russo ha sottolineato che la colpa sarebbe di Kiev, che “non vuole i negoziati”. E sempre dal G20 sul tema è intervenuta Meloni: “La Russia può riportare la pace ritirandosi”. Putin ha poi fatto ricorso ad altri argomenti già utilizzati per attaccare l’Ucraina, cioè le violenze contro i civili di etnia russa in Donbass fin dal 2014, e per criticare quello che Mosca giudica un sostegno indiscriminato degli Usa ad Israele. «Capisco – ha detto il presidente russo – che questa (in Ucraina) è una guerra, la morte di persone non può fare a meno di sconvolgere. E il sanguinoso colpo di Stato in Ucraina nell’anno 2014, seguito dalla guerra del regime di Kiev contro il suo popolo nel Donbass, non è sconvolgente? E lo sterminio della popolazione civile in Palestina? E il fatto che i medici debbano eseguire operazioni sui bambini agendo con un bisturi sul loro corpo senza anestesia non è sconvolgente? E il fatto che il segretario generale delle Nazioni Unite abbia detto che Gaza si è trasformata in un enorme cimitero per bambini non è sconvolgente?». Parte dell’intervento è stato dedicato ad un altro tema caro a Putin. Cioè il riequilibrio della «gestione economica globale» in senso multipolare. Secondo il leader russo, infatti, è necessario «riavviare integralmente l’Organizzazione mondiale del commercio» e «rafforzare il ruolo delle economie in via di sviluppo nelle istituzioni finanziarie internazionali, tra cui l’Fmi e la Banca mondiale». Una linea su cui Mosca trova la sponda della Cina. Ricevendo a Pechino Vyacheslav Volodin, il presidente della Duma russa, il presidente Xi Jinping ha osservato che i due Paesi «condividono ampi interessi comuni» e sono legati «da un’amicizia permanente di buon vicinato, un coordinamento strategico globale e una cooperazione reciprocamente vantaggiosa per dare nuovo slancio alle economie e allo sviluppo dei due Paesi, contribuendo alla prosperità e alla stabilità del mondo».

Simbolo violenza domestica

La violenza domestica comprende tutte le forme di violenza fisica, sessuale, psichica o economica e tocca tutte le persone indipendentemente dal genere e dall’età. Nella maggior parte dei casi si verifica nella famiglia e nell’economia domestica, ma può coinvolgere anche partner attuali o precedenti che non vivono sotto lo stesso tetto. Le conseguenze sociali e sulla salute per una parte delle vittime sono gravi. Oltre alla sofferenza individuale la violenza domestica comporta anche costi elevati per la società.
La violenza domestica comprende costellazioni relazionali nonché forme o modelli di violenza diversi. Ciò nonostante, è possibile individuare alcune caratteristiche fondamentali che distinguono la violenza domestica da quella extradomestica:

• Gli atti violenti si verificano perlopiù, ma non esclusivamente, nell’abitazione della vittima, ossia in un luogo normalmente considerato sicuro e protetto.
• L’integrità fisica, sessuale e/o psichica della vittima viene minacciata o lesa da una persona a lei vicina, con la quale ha un legame emotivo e spesso intimo.
• La separazione, il divorzio o lo scioglimento della comunione domestica non sempre segnano definitivamente la fine del legame emotivo tra la vittima e l’autrice o l’autore (ex partner, padre, madre, figlia, figlio, fratello, sorella, altre persone di riferimento).
• Spesso, un comportamento violento sistematico nei confronti di minori, partner o persone anziane nella sfera domestica si basa su una disparità di potere e la consolida. Esiste una stretta correlazione tra comportamenti di dominio e controllo da un lato e uso della violenza nel rapporto dall’altro

La violenza domestica nella coppia include la violenza fisica, sessuale, psichica ed economica tra partner attuali o precedenti. La ricerca e la prevenzione si occupano di diverse sue costellazioni e sfaccettature:

• la violenza contro le donne commessa da partner attuali e precedenti;
• la violenza contro gli uomini commessa da partner attuali e precedenti;
• la violenza nelle coppie di adolescenti;
• la violenza nelle coppie di persone anziane;
• la violenza in altri tipi di coppia (p.es. lesbica, gay, bisessuale, transgender).

La violenza tra partner e le altre forme di violenza domestica possono manifestarsi sia singolarmente sia combinate tra loro. È possibile che l’autrice o l’autore usi violenza contro più familiari o persone che vivono nella stessa economia domestica. Una persona può essere vittima di più autrici o autori, ma può anche capitare che sia nel contempo vittima e autrice o autore di violenza nello stesso rapporto familiare.
L’incidenza della violenza e l’esperienza di violenza domestica nella famiglia e nella coppia si differenziano sotto molti punti di vista. Tra i principali criteri di differenziazione figurano la forma della violenza (fisica, sessuale ecc.), gli atti concreti subiti dalle vittime (rimproveri, pugni, coazione sessuale ecc.) nonché, per quanto riguarda le conseguenze, la gravità (lieve, media, elevata), la frequenza e la durata. La violenza nella famiglia e nella coppia può manifestarsi come un comportamento violento situazionale o come un comportamento violento e di controllo sistematico. Infine, anche la valutazione soggettiva della violenza subita (sensazione di minaccia, paura, dolore, innocuità ecc.) svolge un ruolo importante.

Conseguenze sulla salute
Le vittime di violenza domestica soffrono perlopiù di problemi di salute. Numerosi studi hanno dimostrato l’esistenza di una correlazione tra esperienze di violenza vissute durante l’infanzia e/o da adulti e conseguenze sulla salute sia immediate sia a medio e lungo termine. In particolare, la violenza precoce subita durante l’infanzia e le esperienze di violenza accumulate nel corso della vita possono compromettere durevolmente la salute. La violenza ha conseguenze sulla salute non solo delle vittime dirette ma anche delle persone che assistono a atti violenti, perlopiù bambini testimoni della violenza tra i loro adulti di riferimento, ma anche adulti che nel sistema familiare assistono alla violenza contro i loro figli o altri membri della famiglia.
Le violenze psichiche, fisiche e sessuali gravi, la negligenza, le esperienze o i timori di perdita e separazione possono essere traumatizzanti. Gli eventi traumatici mettono in pericolo l’incolumità di una persona, generano un forte senso di paura e impotenza, sopraffanno le normali strategie di adattamento e fronteggiamento (coping), e sovraccaricano il sistema di stress con ripercussioni a livello sia psichico sia fisico. Le esperienze di questo tipo possono innescare una reazione acuta da stress suscettibile di evolvere in un disturbo post-traumatico che può manifestarsi a medio termine ma anche a distanza di anni.
L’abuso non è mai giustificato. È disponibile sostegno, indipendentemente dal fatto che la vittima decida di continuare o di interrompere il rapporto con l’aggressore. E’ fondamentale:

  • Definire un piano di sicurezza
  • Cercare aiuto quando necessario

In caso di violenza domestica, si deve prima di tutto considerare la questione della sicurezza. Durante uno incidente violento, la vittima deve cercare di allontanarsi da luoghi in cui può essere rinchiusa o dove l’aggressore può trovare armi, come i coltelli in cucina. Se ne ha la possibilità, la vittima deve immediatamente chiamare aiuto e uscire di casa. Tutte le lesioni riportate devono essere curate e documentate con fotografie. La vittima dovrebbe spiegare ai figli di non lasciarsi coinvolgere in una lite e quando e come chiamare aiuto.
È assolutamente fondamentale mettere a punto un piano di sicurezza, che deve prevedere:

  • dove cercare aiuto (la vittima deve avere diversi luoghi alternativi dove andare e diverse persone da poter chiamare);
  • come andarsene (spesso è possibile inventando la necessità di fare azioni abitudinarie per cui è necessario uscire di casa, come andare a fare una commissione o portare fuori il cane);
  • come avere accesso al denaro (ad esempio mettendo da parte dei soldi o aprendo un conto corrente separato e, se possibile, una carta di credito)

Inoltre, la vittima deve fotocopiare e nascondere i documenti ufficiali (come certificati di nascita dei figli, tessere sanitarie, certificati assicurativi e numeri dei conti correnti bancari) e tenere una borsa pronta e nascosta per la notte, nel caso in cui debba lasciare velocemente l’abitazione.
Talvolta, l’unica soluzione consiste nell’interrompere una relazione caratterizzata da abusi in modo definitivo, in quanto la violenza domestica tende a protrarsi, soprattutto negli uomini molto aggressivi. Inoltre, anche quando il maltrattamento fisico si riduce, quello psicologico può persistere.
La decisione di andarsene non è facile, né semplice. Spesso le vittime si sentono incapaci di interrompere la relazione caratterizzata da abusi per molti motivi, compresi timore di cosa farà l’aggressore dopo l’abbandono e la dipendenza economica dall’aggressore.
Una volta che l’aggressore è consapevole della decisione della vittima, il rischio di subire un danno grave è ancora più elevato. A questo punto, la vittima dovrebbe compiere ulteriori passi per proteggere se stessa e i figli. Per esempio, potrebbe ottenere un’ordinanza restrittiva, sebbene tali ordinanze non garantiscano la sicurezza.
È possibile rivolgersi ai centri di assistenza per la violenza sulle donne, a gruppi di supporto, tribunali e le linee telefoniche nazionali. La National Domestic Violence Helpline prevede anche opzioni chat se la vittima non è in grado di parlare in sicurezza. La vittima deve cercare aiuto anche se l’abuso non è grave, perché cercarlo non significa necessariamente provocare problemi al partner.
A tal proposito è nato Il Signal for Help, lanciato nell’aprile 2020 dall’associazione canadese ed è diventato subito popolare in tutto il mondo. In cosa consiste? Basta piegare il pollice verso il palmo della mano, tenendo in alto le altre quattro dita, per poi chiuderle a pugno. E’ un gesto per chiedere aiuto se si subisce violenza domestica (e non solo). Conoscere il Signal for Help ci mette nelle condizioni non solo di far capire agli altri che siamo in difficoltà, ma anche di riconoscere chi sta subendo abusi. Ecco perché è importante conoscere la sua storia e sapere come identificarlo.

Introduzione delle Norme di Protezione Civile a Scuola

Nell’era contemporanea, la sicurezza degli studenti è diventata una priorità incontestabile per le istituzioni educative. Con l’aumento della frequenza di eventi naturali e situazioni di emergenza, le scuole stanno adottando misure proattive per garantire un ambiente sicuro per gli studenti e il personale. In questo contesto, l’introduzione delle norme di protezione civile a scuola emerge come un passo cruciale per preparare la comunità scolastica ad affrontare eventuali scenari di emergenza.
Le norme di protezione civile comprendono una serie di protocolli e procedure progettati per prevenire, mitigare e rispondere a situazioni di emergenza. Nell’ambito scolastico, ciò potrebbe includere incendi, terremoti, inondazioni, e altre emergenze.

  1. Obiettivi dell’Introduzione delle Norme di Protezione Civile:
  • Prevenzione: Identificazione e mitigazione dei potenziali rischi.
  • Preparazione: Formazione del personale e degli studenti per rispondere efficacemente a situazioni di emergenza.
  • Risposta: Attuazione di procedure di emergenza durante un evento.
  • Ripristino: Riparazione e ritorno alla normalità dopo un’emergenza.


L’implementazione delle norme di protezione civile coinvolge attivamente gli studenti. Programmi educativi mirati insegnano loro le procedure di evacuazione, i punti di raccolta sicuri e le azioni da intraprendere in caso di emergenza. Ciò non solo aumenta la loro consapevolezza ma li rende parte attiva del processo di sicurezza.
Il corpo docente e il personale scolastico vengono formati regolarmente su come gestire situazioni di emergenza. Ciò include l’uso di attrezzature di primo soccorso, l’organizzazione di esercitazioni di evacuazione e la conoscenza delle procedure di comunicazione in caso di crisi.
Le scuole devono stabilire una solida collaborazione con le autorità locali di protezione civile. Questa sinergia è essenziale per garantire una risposta tempestiva e coordinata in caso di emergenza, sfruttando le risorse e le competenze disponibili. L’introduzione delle norme di protezione civile a scuola rappresenta una dimostrazione tangibile dell’impegno delle istituzioni educative per la sicurezza degli studenti. Una preparazione efficace può fare la differenza tra il caos e il controllo in situazioni di emergenza. Con questo passo avanti, le scuole non solo forniscono un ambiente di apprendimento sicuro, ma anche un’educazione pratica sulla gestione delle crisi, un’abilità preziosa che può durare per tutta la vita degli studenti.

    Il terremoto dell’Irpinia

    Il 23 novembre 1980 un terremoto di magnitudo 6.9 colpisce una vasta area della Campania, della Basilicata e marginalmente della Puglia, causando 2734 vittime. A riportare gravi lesioni sono complessivamente 688 comuni, metà dei quali registra la perdita dell’intero patrimonio abitativo. Le scosse sismiche innescano anche numerose frane, alcune delle quali imponenti, come quelle di Calitri, Caposele, Calabritto e Senerchia.Le linee elettriche e telefoniche saltano e le comunicazioni tra le zone terremotate e il centro si interrompono. La circolazione ferroviaria si arresta completamente e la penisola rimane tagliata in due. La situazione è ulteriormente aggravata dalla popolazione che, in preda al panico, cerca di fuggire bloccando le principali arterie stradali. La gestione dell’emergenza è caratterizzata da notevoli difficoltà e ritardi. I primi soccorsi risentono della totale mancanza di coordinamento: volontari, strutture regionali e autonomie locali si mobilitano spontaneamente senza aver avuto indicazioni e precisi obiettivi operativi dal Ministero dell’Interno. In un celebre messaggio televisivo agli italiani del 26 novembre, il Presidente Pertini – che il giorno prima aveva raggiunto le zone terremotate – denuncia il ritardo dei soccorsi e le gravi mancanze nell’azione dello Stato, per le quali sarebbero state individuate precise responsabilità, concludendo: “Qui non c’entra la politica, qui c’entra la solidarietà umana, tutti gli italiani e le italiane devono sentirsi mobilitati per andare in aiuto di questi fratelli colpiti da questa sciagura. Perché credetemi il modo migliore per ricordare i morti è quello di pensare ai vivi”. Dopo il caos dei primi tre giorni, il Governo interviene nominando il Commissario straordinario Giuseppe Zamberletti, che riesce a riorganizzare i soccorsi e a dialogare con i sindaci. Inizia in quei mesi una riflessione sulla necessità di un coordinamento dei soccorsi efficace, che nel febbraio del 1982 porta alla nomina di Zamberletti quale Ministro per il Coordinamento della Protezione Civile e, qualche mese dopo, all’istituzione del Dipartimento della Protezione Civile.

    Dall’Italia due esperti per la crisi vulcanica islandese

    Ci saranno anche due esperti italiani del Dipartimento nel team di tecnici che il Meccanismo europeo di Protezione Civile metterà a disposizione del governo islandese a seguito della crisi vulcanica che sta interessando il Paese. Dallo scorso mese di ottobre la parte sud-occidentale dell’Islanda, infatti, è interessata da una importante emergenza vulcanica per la risalita di magma verso la superficie. Più di 200.000 terremoti stanno interessando l’area. I fenomeni di deformazioni del suolo sono in aumento. Oltre alla cittadina di Grindvik, dove sono state evacuate circa 3mila persone, è interessata anche la Centrale geotermica di Sund, che produce l’energia elettrica per circa 30.000 persone nell’isola di Reykianes.
    In questo contesto i due esperti italiani, all’interno del team europeo richiesto dall’Islanda, avranno il compito di fornire assistenza tecnica nella stesura di documenti dettagliati sulla situazione, partecipare alla delineazione degli scenari di rischio e delle possibili azioni operative da intraprendere nonché monitorare l’evolversi della situazione. 
    La missione è coordinata all’interno del Meccanismo di protezione civile, lo strumento europeo di risposta alle emergenze che interviene a supporto dei Paesi che ne fanno richiesta sia all’interno sia all’esterno dell’Unione Europea. In ambito internazionale, inoltre, attraverso il Meccanismo si condividono procedure, esperienze, modelli di intervento e buone pratiche di prevenzione dei rischi. Il Meccanismo di Protezione Civile – istituito nel 2001 e più volte riformato – coordina la risposta europea alle catastrofi naturali e legate alle attività dell’uomo. Tra i suoi obiettivi anche la promozione della cooperazione tra le autorità nazionali di protezione civile e il rafforzamento della consapevolezza e della preparazione dei cittadini rispetto ai rischi. Il Meccanismo è costituito da un pool volontario di risorse pre-impegnate dagli Stati Membri per essere dispiegate immediatamente all’interno o all’esterno dell’Unione e garantire in caso di emergenza un’assistenza rapida, efficace e coordinata alle popolazioni colpite. Cuore operativo del Meccanismo è il Centro di Coordinamento della Risposta alle Emergenze: attivo 7 giorni su 7, 24 ore su 24 coordina la risposta europea alle catastrofi. A livello europeo la protezione civile è incardinata nella Direzione Generale Aiuti Umanitari e Protezione Civile della Commissione Europea e conta l’adesione di 33 Paesi: oltre ai 27 Paesi membri dell’Unione Europea, Islanda, Norvegia, ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Montenegro, Serbia e Turchia.

    SASS – SERVIZI AUSILIARI SECURITY & SAFETY (PROTEZIONE CIVILE – ODV)

    PER EMERGENZE CONTATTARE IL 3929790903
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